Depressioni universali

Trent’anni a perseguire la calma e la profondità strategica, trent’anni a raccontarmi la mia vita come un progressivo sottrarmi alla confusione e costruire con pazienza uno stato di meraviglia e serenità, trent’anni in cui ci ho creduto davvero, nonostante i cedimenti e i periodi di depressione, è proprio quando ero giunto al traguardo, all’approssimarsi della vecchiaia, quando avevo una casa, una famiglia, tutto per essere saggio e felice, mi ritrovo solo, accoccolato in posizione fetale in un letto a una piazza, nella casa vuota di una donna sola e perduta, partita anche lei senza lasciare un indirizzo per chissà quale posto dell’emisfero meridionale. Non è un granché come bilancio. Non è una buona pubblicità per lo yoga. Ma sbaglio a dire questo: lo yoga non c’entra niente, il problema sono io. Lo yoga tende all’unità, e io sono troppo diviso per raggiungerla. (Emmanuel Carrère)

Non sono depresso. O almeno mi sembra di non esserlo. Salvo poi trovarmi a piangere quando alla Tv raccontano le storie tristi degli altri, in cui magari la gente muore o fa brutte fini, o ha delle malattie incurabili, oppure nella vita ce la fa dopo aver sofferto, o quando ancora gli sconosciuti mostrano la loro felicità inattesa.

Non sono depresso. Credo di non esserlo. Se poi si affrontano i bilanci, se mi guardo indietro e colgo di sguincio le occasioni perse, mi sale il magone. Se ogni secondo che passa, in fondo, mi (ci) avvicina alla morte e questa è una marcia inesorabile a cui non si pensa mai (o si fa finta di non pensare).

Calasso

A Roberto Calasso, recentemente scomparso, wikipedia dedica una paginetta striminzita, ad ulteriore dimostrazione di quanto poco spazio si riesce a dedicare ai percorsi belli e complessi. Specie se si tratta di letteratura e di cose colte.

Ancora ricordo lo stupore della mia prima lettura del libro le “Nozze di Cadmo e Armonia” (di cui sbaglio sempre gli accenti, tutt’ora). Credo di essermi masturbato lungamente su quelle pagine dedicate al mito. Vi giuro.