Come and bleat with Shaun the Sheep

Non vorrei sembrare banale, ma i film di animazione superano ormai di gran lunga quelli con gli attori in carne ed ossa. Figuriamoci poi se, nel caso specifico, si tratta di “Shaun the sheep”, ovvero la quintessenza dello humor britannico applicato alla plastilina.

Il mio personaggio prediletto rimane “the farmer” (ritratto addirittura da gggiovane, con effetti niente male). Contavo di mascherarmi così per martedi grasso.

farmer

gli autoestinti

Ieri, con alcuni amici (the “strampa”), mi sono divertito, via wuozzapp, a fare la cronaca in diretta della terza serata di S. Remo. Un giochino tra noi fatto di battuttine, faccine e commentini. Bisogna aspettare almeno la terza serata per vedere se gli artisti ingranano, se c’è qualcosa di nuovo sotto il sole oppure no. E’ ovvio che, con S. Remo, di nuovo non c’è mai nulla. E’ un prodotto talmente uguale a sè stesso che chi vi partecipa subisce una sorta di mutazione (o deriva)  che lo trasforma irreparabilmente. E, infatti, anche quest’anno era tutto uguale (avremmo potuto benissimo essere nel 1968, nel 1985 o in un anno X a vostro piacimento). La cosa che un pò mi suona strano è vedere come i frequentatori canori del festival (questa sorta di impiegati di S. Remo, sempre gli stessi)  alla fine invecchino e, prima o poi, decedano (come hanno ricordato Paolo & Luca). Insomma, un festival canoro per zombies.

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dal basso (buona o cattiva informazione?)

Paolo Romano è un cittadino pentastellato, eletto alla Camera dei Deputati, originario di Asti. Suo è un post, pubblicato a gennaio, sul blog personale, volto a mettere alla berlina (inquisire) il premier Renzi per presunto uso personale di un volo di Stato. Siccome è passato un pò di tempo e le bocce sono ferme è interessante studiare come funzionano certi meccanismi della comunicazione ai tempi di internet (e della Repubblica italiana). Paolo Romano siede nel seggio 384 della Camera dei Deputati ed è membro della IX commissione (trasporti, poste e telecomunicazioni). Immagino che sia stato scelto per questo compito in quanto, in base al suo CV, è un tecnico dell’industria elettrica ” impiegato nella sala prove dove vengono testate le grandi macchine rotanti”. Una roba alla “Giigggrobot”, per intendersi. Paolo Romano ha al suo attivo, come primo firmatario, solo due proposte di legge, il che fa presumere che non si uccida di lavoro in Parlamento. Ma non è di questo che volevo parlare. Anche perchè, finora, lo avrete notato, ho già infilato un paio di noticine per screditare il parlamentare: ho, infatti, affermato velatamente che Paolo Romano non è particolarmente “acculturato” e che lavora poco in Parlamento. L’ho fatto usando i dati disponibili sul sito della Camera dei Deputati e sul blog del medesimo. Insomma, ho applicato in modo gioioso il meccanismo degli schizzi di fango che tanto piacciono al popolo grillino. Fin qui, sono stato garbato. Io e Paolo non ci conosciamo. Paolo, invece, in qualità di parlamentare eletto dal popolo italiano  e personaggio pubblico, si è sentito in dovere di scrivere il post di cui sopra nel perfetto stile pentastellato:   fotina ritoccata con claim giallo “Renzi e famiglia in vacanza a spese nostre” (che fa tanto Dagospia) e resoconto, con tracciati radar (ma si trova proprio di tutto in giro e con che facilità!!!), del volo del Falcon che avrebbe portato Renzi e famiglia a Courmayeur per sciare. I toni sono accesi e le accuse molto chiare: lo spreco di denaro pubblico, i lavoratori affamati, la crisi economica, ci avrei messo pure l’euro ecc. Apprezzo il gesto, ma contesto il mezzo: poichè Paolo Romano siede in Parlamento (e non è un nicogio qualsiasi) ha tutti gli strumenti per chiedere spiegazioni al diretto interessato (vedi ad esempio le interrogazioni parlamentari). Invece, poichè c’è la rete (o che bella la rete, con i suoi autodafè, i processi pubblici, le decapitazioni e le deportazioni di massa), vai con le pernacchie pubbliche. Ma torniamo al racconto del Romano. La struttura aeroportuale è al centro di critiche per il mancato completamento e per lo scarso traffico aereo e cosa ti fa l’occupante del seggio 384? Propone questo passaggio gustosissimo:  “arriva l’ordine e la struttura si adegua tra paglia di roccia imballata, cartongesso in disfacimento“. Guardate com’è cattivo Renzi, dice il Romano, e pare di vederli i poveri controllori di volo (in una grotta al freddo ed al gelo) costretti a seguire il piano di volo del jet ed a garantire che tutto proceda per il meglio. La cronaca dell’evento prosegue con toni ancora più accorati: “Tale aereo è sì atterrato sulla pista del quasi aeroporto di Aosta, ma non ha potuto sostarvi che il tempo necessario per sbarcare la famigliuola in vacanza.” Che equivale a un “Renzi-negriero” sfruttatore dei piloti dell’Aeronautica militare (almeno a me suona così). Ma si potrebbe anche immaginare che Renzi e famiglia siano scesi di corsa (scarponi e sci inclusi), mentre già il jet riprendeva a correre sulla pista verso orizzonti di gloria (forse per non far consumare troppo carburante? Chi lo sa … ). Per farla breve, il post è corredato da 58 commenti di varia umanità, oscillanti tra la critica indignata, l’analisi tecnica dei tracciati (era un Falcon, no era un Airbus 319, no era un UFO, no era il DC-9 dell’Itavia ecc. …) e via discorrendo.   Personalmente, della questione mi importa pochissimo. Se il Presidente degli Stati Uniti può essere tranquillamente portato a casa sua nei fine settimana per giocare a golf o dipingere, magari utilizzando l’Air Force One (cosa avvenuta regolarmente in passato) , posso accettare che Renzi si faccia dare uno strappo dall’AM per ritagliarsi poche ore di riposo con la famiglia. Lo posso accettare perchè è il premier, perchè non fa una vita normale, perchè il tempo a disposizione è pochissimo, perchè esiste una flotta di Stato che costa al contribuente anche se i mezzi non volano (cosa che Paolo Romano omette bellamente, forse perchè lo ignora?) Nessuno poi mi ha detto in  quale modo Renzi sia tornato a casa sua dopo aver sciato. In autostop? L’informazione è incompleta. Insomma, dei proclami anti-casta, delle finte schermaglie contro gli abusi, del giacobinismo arrogante, dell’improvvisazione-banalizzazione del comportamento degli “altri”, della (reato di) irreprensibilità ascrivibile ai pentastellati, mi sono un pò rotto gli zebedei. Non spostano una virgola del nostro presente.

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salsa di soia

Gli oggetti di uso quotidiano, quanto più sono semplici e funzionali, tanto più si stampano nella memoria delle persone e popolano i nostri paesaggi quotidiani. Al punto che, a volte, ci si chiede: “ma come abbiamo potuto vivere senza?” Oppure:  “ma chi avrà inventato questo oggetto? Un genio!”

Ciò vale vieppiù, per il creatore (non mi viene termine più adatto) del “dispensatore” di salsa di soia, che ci ha lasciati in questi giorni: l’ormai immortale Kenji Ekuan (che fisicamente assomigliava anche un pò alla sua creatura … )

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sultans of swing

Stazione della metro Barberini. Le ore 15 o giù di lì. Cammino lungo il corridoio che porta ai tornelli ed una musica inconfondibile riverbera sotto le basse volte. Fermo ed addossato al muro, un ragazzo, chitarra ed amplificatore, sta suonando “Sultans of swing” dei Dire Straits proprio come l’avrebbe voluta Mark Knopfler: un pò sporca e con la gente che passa e tira dritto.

And then the man he steps right up to the microphone
And says at last just as the time bell rings
‘Thank you goodnight now it’s time to go home’
and he makes it fast with one more thing
‘We are the Sultans of Swing’

70 anni

C’è un gioco che si fa quando un tipo famoso defunge: dopo un pò di anni la gente si chiede come sarebbe stato (invecchiato) se fosse campato di più. E’ un gioco pessimo. Poiché in realtà, il tipo è diventato famoso (ed è vivo e lotta in mezzo a noi) proprio perchè è morto e non ha dovuto subire l’impietoso scorrere del tempo. Quindi del tipo famoso sono rimaste le foto, la musica, i filmati, i ricordi e quel che l’è, cristallizzati per sempre. Il gioco più bello, invece, si chiama memoria.

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il nome del figl….

A Francesca Archibugi ci voglio bene. Perchè quando uscì, eoni di anni fa, il film “Il grande cocomero”, mi piacque molto assai. Forse ero molto più giovane, forse il gruppo di protagonisti era ben assortito, forse la storia era tutt’altro che banale.  Forse non erano ancora accadute tutte le cose che sono successe dopo. Era un film sociale. Tra “Il grande cocomero” e “Il nome del figl…” corrono giusti giusti 21 anni. E l’Italia di allora non è più quella di oggi. In mezzo ci sono stati venti anni di buio (di rinunce, ruberie e recessione). Francesca Archibugi nel frattempo ha continuato a far parte del rarefatto mondo “radical chic” che appartiene (è appartenuto) ad una “certa sinistra”, dove, ad esempio, il lavoro in fabbrica o la classe operaia non sono contemplati, mentre vanno per la maggiore  i salotti, i lavori “sghici”, le chiacchiere (tante chiacchiere) . Anche ne “Il nome del figl…” si parla tanto. O meglio, si parla soltanto, durante una cena in cui i protagonisti  si massacrano tra loro.  E’ un bel film, non indimenticabile, ove la Archibugi fa passare un’interessante tesi: che il mondo vero, che ha ancora qualcosa da dire, è quello della gente comune, non letterata. La gente esclusa dai salotti buoni, appunto. Una scoperta importante? Utile? Non saprei.

Il sospetto è che la Archibugi abbia fatto questo film perché le hanno regalato un piccolo drone giocattolo con cui svolazzare nel cielo blu …