l’eterna lotta tra il beh ed il mah (un Paese cattivo)

Ripartiamo da quel 21 luglio 2001 e prendiamola larga. “Le scuole Diaz-Pertini (cos’avranno mai da spartirsi quei due? ndr) e Pascoli ospitano rispettivamente dormitorio e media center del Genoa Social Forum, unione di movimenti, partiti ed esponenti della società civile che contestano la globalizzazione capitalista (ovvero una battaglia persa in partenza ndr). Nel corso della giornata la città è divenuta triste palcoscenico di scontri tra i manifestanti e la polizia, ma verso le 22, almeno nei dormitori, regna la calma. È verso le 23.30 che il primo reparto mobile di Roma, guidato da Vincenzo Canterini, irrompe nelle due scuole per eseguire una perquisizione regolarmente autorizzata ai sensi del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza. L’esito della perquisizione è di 93 arresti e 82 feriti, tra i quali spiccano 3 prognosi riservate tra i 63 soggetti accompagnati in ospedale. In modo indistinto, tutti i presenti nelle scuole vengono arrestati con accusa di resistenza a pubblico ufficiale e associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio“.  Com’è noto, per quelle violenze l’Italia è stata condannata dalla CEDU (che non è il CEPU ndr) e si è aperto un dibattito, tra un’ apericena e l’altra, sul “reato di tortura”. Che nel nostro Paese non c’è (e neanche i padri costituenti lo hanno previsto, anche se qualcosina viene detta all’articolo 13 della Costituzione ndr). Forse per pudore o forse per mettere una bella pietra tombale sul fascismo (che di tortura ne sapeva qualcosa ndr) e sperare che certe cose, per il solo fatto di non nominarle, non si sarebbero verificate mai più. Qualcosa di assimilabile alla tortura, in realtà, nel nostro ordinamento ci sarebbe ed è contenuto nell’articolo 544 ter del codice penale, ma lì si parla di animali e non di umani (dunque i primi sono un pò più tutelati dei secondi ndr). Ovviamente, siccome a me piace girare intorno alle cose e trovare sfaccettature, incastri e correlazioni (che magari lì per lì sembra che non c’entrino nulla e  poi  … Bingo!) sulla questione della tortura e su come si sia arrivati alla sentenza di condanna mi sono arrovellato un pò. Intanto, c’è da dire che i tempi della Giustizia sono sempre un pò lunghetti (ma  i gradi di giudizio sono diversi e poi cosa sono 14 anni di fronte all’eternità…? ndr). Inoltre, e questo è l’aspetto che mi fa sciogliere il cuore,  la causa è stata “Cestaro contro l’Italia”.  Cioè, un uomo (cittadino italiano) da solo contro tutti. Non suona un pò come quelle cose “Brasile / Resto del mondo”? Solo che in questo secondo caso la partita è con un pò più di fairplay.  Ora, nella causa in questione, io (come altri 56 milioni di abitanti, meno uno) sono, purtroppo l’Italia. Mi spiego: Cestaro ha fatto causa a me (proprio a me) ed ha chiesto ed ottenuto proprio da me il risarcimento dei danni subiti (costole rotte, gamba, un braccio ecc.) che gli verrà versato utilizzando i soldi del contribuente (ovvero le tasse).  Dunque questa sentenza epocale, bellissima, importantisisma, civilissima comporta, all’atto pratico, una distrazione di fondi pubblici (€ 45.000 che non sono tantissimi, ma non son neanche pochini ndr)  che potrebbero essere impiegati (sempre se i politici non se li mangiano prima ndr) in progetti sociali: orti urbani, servizi mensa alle scuole, accoglienza profughi, lotta ai tumori ecc. Scegliete voi. Una bella vittoria, non c’è che dire. Non fraintendetemi.  Io sono un uomo mite. Non amo i totalitarismi e le derive autoritarie. Sulla questione del G8 di Genova, inoltre, condivido tutte le giuste e necessarie osservazioni, da Agnoletto fino a Eretika che su “Il Fatto quotidiano” ha scritto un bell’articolo (qui). Cui faccio sommessamente presente, tra le altre cose, che ti condannano a dieci anni di reclusione se spacchi una vetrina (ma a Genova di vetrine ne sono state spaccate un pò più di una) perchè esiste il reato di devastazione e saccheggio (articolo 419 del codice penale: reclusione da 8 a 15 anni ndr). Dunque, lungi da me l’apologia del manganello (o dell’olio di ricino, che il passo è breve … ndr). Chi indossa una divisa deve sempre essere responsabile, educato, accogliente, accondiscendente (anche quando ti tirano addosso un estintore, vernice colorata, biglie di metallo, sanpietrini e breccole). Un uomo in divisa deve porgere l’altra guancia. Deve arrestare, se succede, ma con delicatezza. Quasi in tono sommesso. Chiedendo scusa se è il caso. Infatti, dall’altra parte troverà sempre persone pronte a farsi arrestare: gente altrettanto educata che ti porgerà i documenti con un sorriso, che non tenterà di forzare posti di blocco, che ti stringerà la mano, addirittura ti abbraccerà riconoscendo di aver commesso un err0re, di essere colpevole, di aver sbagliato.

Ma torniamo a noi. Personalmente gradirei che il rimborso dei 45.000 euro destinati al Sig Cetaro li tirasse fuori Massimo D’Alema che nel 1997  stabilì che la riunione del G8 si sarebbe dovuta tenere proprio a Genova (in assoluto la città meno adatta per urbanistica e caratteristiche del luogo). Salvo poi non esserci al momento dei probemi seri: il fiammifero acceso in mano se lo trovò, invece, Giuliano Amato, Presidente del Consiglio dei Ministri che stanziò fondi e si occupò degli aspetti organizzativi.    Magari le stesse cose sarebbero potute succedere in qualsiasi altra città italiana anche perchè se si parte comunque con l’idea dello scontro ti puoi pure riunire a Waikiki che qualcuno ti verrà comunque a tirare le uova marce. Ma chissà… E consentitemi ancora un piccolo passaggio a difesa di chi, invece, in  piazza è sceso con altre intenzioni rispetto ai Black bloc. Il vertice di Genova che cosa ha prodotto all’atto pratico? Cosa si sono detti i Capi di Governo? Quale decisioni hanno preso a favore del progresso dell’umanità? Orbene, tra i rottami del web (ovvero tra i siti che galleggiano dimenticati) c’è ancora in vita quello ufficiale del G8 (lo trovate qui). E cosa vi trovate, fra le tante parole? La dichiarazione dell’allora Ministro degli Esteri, Ruggiero, che richiama questo passaggio: “Noi decidiamo inoltre: di dimezzare, entro l’anno 2015, la percentuale della popolazione mondiale il cui reddito è inferiore a un dollaro al giorno e la percentuale di persone che soffrono la fame e, entro la stessa data, di dimezzare la percentuale di persone che non sono in condizioni di raggiungere o non possono permettersi di bere acqua potabile.” Missione riuscita?

Un altro mondo è possibile, ma non è  questo qui.

la svolta autoritaria

In Italia sono vietati: il calcio, i combattimenti clandestini di cani, le corse di cavalli, la pedofilia, la pornografia, le assemblee di condominio, la caccia, gli abusi sessuali sulle donne, la prostituzione, la macellazione clandestina, l’inquinamento, l’uso dell’automobile in città, lo smaltimento illegale di rifiuti, la camorra, la mafia, la ndrangheta, la sacra corona unita, il monoteismo, il campanilismo, i dialetti, il cinema italiano, i talk show,  i complottisti,  …

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scegliete voi il vostro nemico

io (ri)leggo perchè …

Ho ripreso in mano “Cronache marziane”  (The Martian Chronicles) di Ray Bradbury. Ne leggo qualche pagina, la sera tardi, prima di addormentarmi. E’ una bella abitudine quella di leggere alla fine di una giornata. I libri, si sa, portano lontano, persino su Marte. “Cronache marziane”, invero, è un libro di fantascienza, ma è qualcosa di più: primo perchè adotta un linguaggio molto suggestivo nella descrizione dei luoghi e dei personaggi; secondo perchè è una storia di fantascienza al rovescio che parla di razzi, colonizzazione e misteriosi popoli alieni, ma, in realtà, è la trasfigurazione della recente storia americana (che tanto successo avrà nei film tipo “Avatar” e compagnia bella) ed una parabola dell’umanità. “Cronanche marziane” (che contengono già un piccolo nucleo di ciò che sarà poi “Fahrenheit 451”) sono la trasposizione letteraria dei delitti contro l’ambiente e le popolazioni native. In nome del progresso e sopratutto dell’avidità. Quante volte ci guardiamo intorno e ci rendiamo conto di quanta bellezza  è stata calpestata e distrutta per far largo a cose inutili e volgari? Mica occorre arrivare su Marte per capire questo, non è vero? E quanti si ribellano a tale situazione di fatto oppure cercano di cambiarla con le proprie azioni o il proprio pensiero? Meno male che, a dispetto dell’umanità, esiste una cosa cui non ci si può sottrarre. Il Tempo.

“C’era come un odore di Tempo, nell’aria della notte. Tomàs sorrise all’idea, continuando a rimuginarla. Era una strana idea. E che odore aveva il Tempo, poi? Odorava di polvere, di orologi e di gente. E che suono aveva il Tempo? Faceva un rumore di acque correnti nei recessi bui d’una grotta, di voci querule, di terra che risuonava con un tonfo cavo sui coperchi delle casse, e battere di pioggia. E, per arrivare alle estreme conseguenze: che aspetto aveva il Tempo? Era come neve che cade senza rumore in una camera buia, o come un film muto in un’antica sala cinematografica, cento miliardi di facce cadenti come palloncini di capodanno, giù, sempre più giù, nel nulla. Così il tempo odorava, questo era il rumore che faceva, era così che appariva. E quella notte – Tomàs immerse una mano nel vento fuori della vettura – quella notte tu quasi lo potevi toccare, il Tempo.

date una definizione di “genocidio”

La storia potrebbe insegnarci qualcosa, ma non è facile che tutti la comprendano. La storia ci mostra, quando le cose avvengono e subito dopo sono già accadute e rimangono lì. Possiamo far finta di non vederle. Possiamo provare a negare o ad aggiustare le cose. Ma se sei morto, sei morto. Per mano del fratello, del confinante o  del cane di guerra.  Poco importa. Poco importa quale sia la definizione giusta o l’arzigogolo che ti potrebbe aiutare oggi (ma chissà per quanto?) E se tu neghi… sei complice ed assassino. Quanto loro.

« Il genocidio va oltre la guerra perché l’intenzione dura per sempre, anche se non è coronato dal successo. È un’intenzione finale. »

Armenia (terra di Haik): capitale Erevan. Popolazione attuale: 3 milioni di abitanti. Armeni uccisi sotto l’Impero ottomano: 1,6 milioni.

un buco nell’Ozon (due recensioni al prezzo di una)

Questo post va letto solo se apprezzate il cinema francese. In caso contrario, aria! Dunque, nel giro di due settimane mi sono sparato due film francesi, apparentemente agli antipodi: “La famiglia montone” e “Una nuova amica/o”. Il primo rientra nell’ambito storie edificanti/divertenti. Il secondo nel filone famolo strano/parliamone. Il primo l’ho voluto vedere io, perchè avevo bisogno di un pò di leggerezza e di una storia leggera, possibilmente con il lieto fine. Il secondo l’ha imposto l’amore mio (che ci teneva assai a vederlo) perchè le piace Francois Ozon (come regista). Dalla visione del secondo sono emerso non tanto sconcertato (si parla di travestimento e di relazioni un pò morbosette) quanto convinto che se l’ambientazione non fosse stata così chic (gente che ha belle case, bei lavori, belle macchine, belle case di campagna ecc.) ma un pò più proletaria magari ne sarebbe venuta fuori una storia un pò più brutale e forse anche più interessante. Ad ogni modo, in entrambi i film (ma non credo che i rispettivi registi si siano messi d’accordo. Oppure si), il messaggio “forte” è affidato ad una canzone che spiega il senso di libertà ed affrancamento (nella famiglia di sordomuti) e il desiderio di affermazione della propria identità e delle proprie aspirazioni (nella famiglia en travesti).

Si può affermare, quindi, al contrario di ogni banale luogo comune che anche le canzoni francesi …. sono belle. E i registi francesi un pò paraculi.

l’ammmore

Conservo un libro che si intitola “Poesie d’amore del ‘900”. Un bel tomo grosso di oltre 600 pagine (ora ingiallite) che inizia con D’Annunzio e finisce con Giuseppe Conte. In mezzo ci stanno versi presi di qua e di là, un pò sotto tutte le latitudini. Non è un bignami stile baciperugina, ma in qualche interstizio rasenta un pò il melenso. Quando si parla (e scrive d’amore) una delle cose che contano di più è l’età:  leggere versi del tipo “Sorriderti forse è morire” a venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta, settanta anni ecc.  fa una bella differenza a seconda della decade di riferimento. A venti ci puoi credere, a cinquanta sollevi a stento il sopracciglio. Però, senza essere cinici e disillusi (se rileggo la dedica di chi mi ha donato quel libro mi vien da  pensare che la vita ti porta spesso molto lontano dalle tue attese) l’ammmore è una cosa bella. Come mi conferma Antonio Porta, che se ne intende: 

per caso mentre tu dormi

per un involontario movimento delle dita

ti faccio il solletico e tu ridi

ridi senza svegliarti

così soddisfatta del tuo corpo ridi

approvi la vita anche nel sonno

come quel giorno che mi hai detto:

lasciami dormire, devo finire un sogno

l’uomo che suonava i tamburi

Alla Porta del popolo, a Roma, suona da giorni con un impegno, una furia ed una passione incredibili un giovanotto. Il suo strumento è una curiosa batteria assemblata con coperchi, bidoni, pentole ecc. Se vi capita di passare di lì, magari in una giornata assolata, dedicategli un pò del vostro tempo (che Whiplash, in confronto, è roba un pò così … )

andare all’università (in compagnia dei dinosauri)

All’Università La Sapienza di Roma, da alcune settimane, sono in mostra delle riproduzioni in scala di dinosauri. Cosa c’è di più affascinante, specie se si è piccoli, nello scoprire delle bestie che sono vissute migliaia di anni fa e si sono estinte per motivi non esattamente futili? Quindi, in un bel giorno di sole, il marmocchiame è stato condotto a visitare la Facoltà di mineralogia, ove,  già nei giardinetti, campeggiano due gagliardissimi e molto inquietanti lucertoloni. Il problema dei dinosauri è che, non essendoci più, tocca accontentarsi delle loro ossa e delle pose plastiche suggerite dai ricercatori. Per cui paura sì, ma fino a un certo punto… La cosa più interessante della giornata, in verità, è stata la scoperta degli spazi all’interno dell’Università. Io non ho studiato qui e credo di averci messo piede al massimo due volte in tutta la mia vita. Quindi, gironzolando per corti e giardini, valutando prospettive, vuoti e pieni, contrasti cromatici ed impiego dei materiali, posso affermare (senza ombra di smentita) che l’architettura italiana è defunta con il ventennio. Oggi, infatti, non si progettano e costruiscono più “visioni di insieme”, ma singoli oggetti, funzionali al consumo ed al rapido decadimento ed oblio. Con una certa predilizione per i centri commerciali. Magari a forma di Vesuvio, come quello a pochi chilometri da Napoli, orrenda imitazione del bello naturale.

Per inciso, alla Sapienza, con lo skate si va che è una favola (ma forse questa ipotesi non era nelle intenzioni del regime!)

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