Non avrei mai voluto che mio padre morisse. Per me è una cosa inconcepibile. Come può essere che un genitore, la persona che ti ha donato amore, sicurezza, conforto, aiuto, possa abbandonarti? Invece, è successo. Senza preavviso, senza tempo di poter fare alcunché.
Era pronto? Forse. Ero pronto? Mai. Adesso mi sembra di avere una montagna enorme da scalare e durante la notte mi sveglio spesso con un forte senso di angoscia. Per trovare un pò di conforto mi sto guardando intorno, ma è davvero difficile rimettere insieme i pezzi.
Al momento una delle cose che mi manca di più sono le telefonate che ci scambiavamo tutti i giorni, anche solo per dirci “ciao, come va?” Era il nostro appuntamento fisso. Ora non so più a chi dire le mie cose.
I giorni stanno passando e già c’è un prima e un dopo. Se riguardo le foto conservate sul cellulare mi viene istintivo pensare in base alla data, quanto sarebbe mancato da quel momento al giorno della fine. Non lo sappiamo prima, ma poi relativizziamo dopo.
Ora non c’è una ricetta per vivere e sopravvivere. Ma fra le tante inezie del quotidiano conto di comprarmi un libro di poesie. Di Alessandro Fo.
Quel che inizia nel giorno
Disporre a chi lasciare i libri, i quadri:
un giorno o l’altro ci dovrò pensare.
E anche giacche, cravatte, biancheria,
la vita dei bicchieri e delle pentole…
È l’alba, e lento mi dirigo al lavoro,
mentre sul cielo semigrigio e lucente
scorre a zigzag la fuga di spioventi.
Mi supera, compresa nel suo footing,
una ragazza.
Ha la coda,
le sobbalzano
nel passo svelto e elastico i capelli.
Ma a destare stupore
è come, anche all’impatto delle suole,
sia già lontana, senza alcun rumore.