noi siamo ciò che imbracciamo

Gli S.U.A. sono  un paese grande, grandissimo: due oceani (uno per lato), 5 fusi orari, 314 milioni di abitanti (circa), almeno 28 etnie differenti ed altrettanti credi religiosi. E’ difficile tenere insieme tutta questa roba. Ed, infatti, ogni tanto qualcuno “sbrocca”. E spara. Nei centri commericali, per strada, nelle università, nelle comuni delle sette religiose, nei cinema, a scuola. Ogni volta l’efferatezza sale di scala. Arrivando all’assurdo dei giorni scorsi in Connecticut. Se ne è parlato tanto. Anche David Letterman, nel suo seguitissimo show, ha fatto una chiosa, ricordando che negli ultimi 20 anni sono occorse almeno 70 gravi sparatorie con morti. E nel comunicare questo dato sembrava quasi che, non essendo solo un problema di armi o solo un problema di assistenza a problemi di instabilità mentale, le sparatorie fossero necessariamente incluse (ed irrinunciabili) nell’american way of life al pari di hamburger e superbowl.

Sandy Hook, invece, per me è un punto di non ritorno. Ho provato ad immaginare cosa possa significare, nella mia vita normale di genitore, confrontarsi con una mostruosità simile. Ogni mattina preparo i miei figli e li porto a scuola, non lontano da casa. Facciamo sempre la stessa strada: porto il più piccolo in braccio e la più grande mi segue diligente con il suo zainetto rosa. Davanti al cancello della scuola c’è la solita confusione: tanti piccoli che entrano spintonandosi, i genitori che salutano (e poi vanno a prendere un caffè al bar). Un bacio, lo chiedo sempre a mia figlia, prima che da sola salga le scale e sparisca alla mia vista. A questo punto posso cominciare la mia giornata da adulto che si svolge da un’altra parte. Mi fido della scuola (non ci sono metal detector, guardie giurate, sbarre alla finestre), mi fido degli insegnanti. La mia signorina sta imparando a scrivere e leggere ed insieme quando facciamo i compiti provo gioia nel vedere i suoi progressi.

Anche questa mattina ho baciato mia figlia e l’ho vista allontanarsi confusa tra gli altri bimbi. Lei non si è voltata.

american way of life« A well regulated Militia, being necessary to the security of a free State, the right of the people to keep and bear Arms, shall not be infringed. »

tre (è bello cedere ai sentimentalismi)

E’ difficile essere obiettivi quando si parla dei propri figli. Sono parte di noi, sono la nostra “navicella” sparata verso il futuro. Ma sono anche diversi da noi e non saranno mai in grado di soddisfare tutte le nostre attese. Sono belli, complicati, a volte noiosi. Tante volte ci faranno preoccupare, ma il più delle volte ci faranno sorridere e ci daranno forza e sicurezza.

Leo, adesso, ha tre anni.

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faccioni

Io ho paura della “democrazia diretta” e di quelli che sul simbolo del partito mettono il loro nome. Perchè penso che, in prima battuta, vogliano fare gli interessi propri (o “loro”) e poi se ne avanza (?) quelli del resto del paese.

Io credo in un solo simbolo: lo stellone della Repubblica. Ruota dentata (simbolo del lavoro, articolo 1 della Costituzione), stella (simbolo dell’Italia, una ed indivisibile) , serto di quercia (forza ed orgoglio)  e serto di olivo (pace). Non ci sono facce lì. Ci sono solo i valori fondanti della nostra democrazia.

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femminicidio

Quando si è parlato alcuni giorni fa di “femminicidio” (bla, bla, bla …)  mi è ribollito il sangue. Non tanto perchè sono maschio, ma perchè nella nostra società si cerca di creare ghetti, alterità, differenza, di stabilire la differenza tra “noi” e “loro”, mentre siamo carenti in compartecipazione, solidarietà, ascolto, senso civico e capacità di saper vincere le differenze. Con la proposta politica  non si cerca una società più giusta. Si cercano horror, repressione ed “effetto speciale”.

Il “femminicido” (tra l’altro una parola orrenda) non esiste. Ed è matematicamente spiegato qui. Grazie Smeriglia (son sempre stato una pippa con i numeri)