La zerocalcarizzazione dell’universo

Sono alcuni giorni che in rete si è scatenato l’armageddon intorno alla serie di Zerocalcare su Netflix. So’ impazziti tutti: un profluvio di articoli, genuflessioni, beatificazioni, santificazioni, ascensioni al cielo. Non passa un giorno senza una citazione, l’analisi semantica, lo studio di ogni singolo fotogramma e la consacrazione su Tik tok della ormai eternata battuta sull’uscire cor caz.. pronunciata dall’armadillo.Purché se ne parli e si brilli di luce riflessa zerocalcarea la rivista Rolling Stone si inventa l’articolo merdone contro Repubblica che ha pubblicato il breviario etimologico del dialetto di Zero.

Insomma, caro Michele sei stato Bravo! E secondo me te la ridi parecchio sotto i baffi che non hai.

Young culture

Ieri sera tardi, nell’effettuare il servizio di genitore autista, sono andato a riprendere mia figlia al ponte della musica a Roma. È un luogo di ritrovo degli adolescenti che, sotto le arcate bianche, si incontrano per farsi gli affari loro: ballare, fumare, parlare, giocare. Una sorta di muretto allargato in riva al Tevere. Il che è bello poiché è comunque uno spazio autogestito, libero e lontano da centri commerciali e catene di fast food.

Mentre aspettavo mi sono fatto una passeggiata da lato a lato, con la gioventù che schiamazzava lì sotto, mentre il fiume fluiva gonfio di pioggia, sempre diverso, sempre uguale.

Un po’ come noi.

Momenti interstiziali

Ultimamente sto vivendo parecchi momenti interstiziali. Quei momenti in cui sei in mezzo tra una cosa importante è l’altra, tra un appuntamento e una scadenza. Quei momenti li sono un po’ strani: non abbastanza importanti o di valore. Eppure in qualche modo utili. Spesso sono un punto di sospensione a volte solo una pausa.

E se diventassero la cosa principale della mia vita? Vivere in un interstizio, sconosciuto ai più…

Le attese disattese

Io e l’amore mio siamo tornati al cinema! Che bello, che gioia, trombette e rulli di tamburi. Volevamo ritrovare la sala, la presenza del prossimo, le luci che si abbassano, i titoli di testa.

Per l’occasione abbiamo scelto “Freaks out”, incuriositi un po’ dalle anticipazioni e perché “Lo chiamavano Jeeg Robot” ci era piaciuto.

Grande fu la delusione. Per carità, attori bravissimi, costumi ben fatti, musiche ben scelte, nulla da eccepire alla fotografia. Ma alla fine quello che non funziona è proprio la storia. Due ideuzze buttate qua e là, non fanno un bel film.

Peccato, un’occasione persa nonostante un battage pubblicitario che marcia meglio del film stesso.

Alla prossima, spero con migliori esiti.