In questi giorni si parla (poco) del prossimo referendum del 17 aprile p.v.. Se ne parla abbastanza nei social, con quegli schematismi tipici da social: i buoni (il SI) ed i cattivi (il NO). Siamo, infatti, tutti esperti di politiche energetiche nazionali ed internazionali. Il referendum, in sè è una baggianata di dimensioni colossali che non sposta di una virgola ciò che già esiste, ma si è caricato di un alto valore simbolico: i promotori sperano che qualora dovessero vincere i SI, il Paese dovrebbe come per miracolo invertire rotta e rinunciare da subito ai combustibili fossili per alimentare il proprio benessere (e la propria libertà, aggiungerei). In realtà, nulla di ciò avverrà per alcuni semplici motivi: l’energia ci serve adesso (e non tra venti o trenta anni); ce ne serve molta; andremo a prenderla comunque da qualche altra parte. L’era dei fossili è lunga dall’essere estinta, purtroppo, poichè manca ancora la valida e non inquinante alternativa. La troveremo mai, o ci estingueremo prima noi?
A latere della vicenda , un episodio marginale sulle forme di comunicazione. Tutti gli articoli di giornale che parlano del referendum pubblicano a corredo questa foto (o consimili)
Che è un bel concentrato di tecnologia (e brutture varie), ma che assomma anche il concetto di sicurezza e controlli.
Qualcuno ha detto che lo sversamento avvenuto in Tunisia a metà di marzo è la prova che le trivellazioni sono pericolose. L’impianto in questione è quello effigiato qui sotto.E’ gestito dalla società tunisina, Thyna petroleum, che ha un sito web che fa piangere (qui) e forse anche standard di sicurezza leggermente diversi rispetto a quelli in uso in Italia.
Continuiamo a prenderci in giro, bene così.