mollare tutto

Con una certa regolarità (praticamente un giorni sì e l’altro pure) il quotidiano “La Repubblica” pubblica brevi articoli edificanti dedicati a persone scontente, cioè che facevano lavori che non gli piacevano (tipo manager di una grande impresa), che, però, mollano tutto, cambiano vita e ritrovano sé stesse.

Gente che si mette a coltivare la pastinaca, che fa il giro del mondo in barca a vela, che si ritira in un eremo a contare bachi da seta. Gente felice che fugge dal capitalismo neoliberista schiacci sassi, comunque molto ricca o sufficientemente abbiente che indica la via a noi comuni mortali, costretti alla ruota del lavoro.

Essi sono i nuovi eletti, quelli che hanno capito tutto, quelli che moriranno felici ed appagati di aver realizzato i loro (stupidi) sogni.

Vi odio.

Teofilo Patini – Bestie da soma (1886)

la celebrazione della vita, magari sbilenca, imprecisa, imperfetta

Vivere come volare
Ci si può riuscire soltanto poggiando su cose leggere
Del resto non si può ignorare
La voce che dice che oltre le stelle
C’è un posto migliore
Un giorno qualunque ti viene la voglia
Di andare a vedere, di andare a scoprire se è vero
Che non sei soltanto una scatola vuota
O l’ultima ruota del carro più grande che c’è

Ma chiedilo a Kurt Cobain
Come ci si sente a stare sopra a un piedistallo
E a non cadere
Chiedilo a Marilyn
Quanto l’apparenza inganna
E quanto ci si può sentire soli
E non provare più niente
Non provare più niente
E non avere più niente
Da dire

CCCP (che si pronuncia SSSR)

A cavallo tra gli ottanta e i novanta, nei corridoi marmorei dell’università privata ove presi la laurea, nel tempio di confindustria e del capitalismo rampante, noi studenti di economia si ascoltava nei walkman (oggetto preistorico e sconosciuto ormai ai più), tra una lezione e l’altra, i CCCP.

E ho detto tutto.

Mo’ tutto ‘sto revival, ‘sto finto rimpiantismo, ‘sta celebrazione , ‘ste polemiche sul costo dei biglietti. Ma andate un pò in vacanza in uno splendido Glavnoe upravlenie ispravitel’no-trudovych lagerej.

le grandi rivoluzioni occasionali

C’era un mio amico di tanto tempo fa che era sempre avanti su tutto. Le cose le sapeva prima e le sperimentava per primo. Non so come facesse, ma ci riusciva. Immagino l’ebrezza di essere uno sperimentatore, quello che fa i primi passi, da solo o quasi. Il suo campo preferito era quello dell’informatica e, in particolare, il web. Il rovescio della sua spasmodica ricerca della novità era rappresentato dal fatto che appena qualcosa diveniva di uso comune, si disamorava presto, per dedicare la propria attenzione ad altro. In questo, il suo comportamento era di sicuro quasi elitario. Ora, nel campo dell’evoluzione tecnologica la rapidità con cui si succedono le innovazioni ha raggiunto ritmi piuttosto vertiginosi, un pò per spinta commerciale, un pò per effettivo progresso. Ed è anche piuttosto ovvio che, ogni volta che viene fatto un salto in avanti, anche di natura quantica, difficilmente si torna indietro o si rimpiange il passato.

La stessa cosa è avvenuta con i social, in un arco temporale tutto sommato piuttosto breve. Direi circa venti anni. Che è grosso modo da quando ho iniziato a scrivere il mio blog in territori che non esistono più (la migrazione sull’attuale piattaforma, occorsa nel 2011, mi ha fatto perdere, purtroppo, il pregresso che, almeno a memoria, dovrebbe risalire addirittura al millennio precedente). Ricordo, ad ogni modo, in maniera molto netta la sensazione di onnipotenza che mi conferiva possedere un sito personale (piuttosto statico) trasmutato poi in diario di bordo digitale. Mi sembrava di far parte di una setta, di un gruppo di felici cospiratori, tutti accomunati dal desiderio di esporre pensieri, condividere letture ed opinioni, costruire percorsi dialettici. Certo, non ero bravo come gli organizzatori di boot camp e premi macchianera et similia. Ma avevo la sensazione di alimentare un processo di crescita e confronto. Il digitale stava aprendo nuovissime frontiere e l’identità acorporea si vestiva di nuove valenze e super poteri. Di quella stagione lì, a distanza di tempo, non è rimasto quasi nulla. I processi di comunicazione hanno preso altre vie, i blog sono divenuti desueti e soprattutto, l’uso del web è divenuto “volgare”, mosso da bassi istinti e da poco avveduti soggetti. Se un tempo si cercava la dotta e calzante citazione, frutto di letture o passaggi cinematografici, adesso siamo alla fase “rutto libero” (molto spassosa, ma poco gratificante). E’ come se si fosse persa la solida compostezza di persone che avevano piacere a ragionare in favore dell’esaltazione del corpo sciolto. Più democratico, senza alcun dubbio, ma anche di gran lunga meno interessante.

Capisco, quindi, il mio amico di un tempo che si annoiava presto dell’ultima novità. Lui, di sicuro, è andato molto avanti, conscio (non so quanto) che l’unica cosa interessante è cogliere la traiettoria nel momento in cui si dispiega e traccia un percorso, mentre io sono ancora qui a scrivere a favore di non si sa bene chi. Forse solo a me stesso.

recensioni lungamente ponderate

L’altra sera (sabato sera) ero solo a casa e senza impegni. Perfino il gatto si era assentato per motivi suoi. In compagnia del divano e del telecomando mi sono concesso un film in TV. La scelta è caduta su “Once upon a time in Hollywood” di Quentin Tarantino che avrei dovuto vedere al cinema, ma non c’è stata l’occasione. Considerato che è uscito nel 2019, mi sono preso un pò di tempo. Che dire? A rileggere le entusiastiche recensioni dell’epoca, molto focalizzate sul duo Di Caprio-Pitt, mi si è alzato il sopracciglio. Infatti, l’ho trovato un film perfettamente “inutile”. Certo, ci sono molti degli elementi cari al cinema tarantiniano, ma avevano molto più senso in altre sue opere. Un omaggio alla Hollywood di fine anni ’60? Mi sta bene. Ci vogliamo mettere dentro il western? Ok. Facciamo fare qualche cameo agli amici? Eh dai su … L’unica parte che salverei è la resa dei conti finale con i cattivi hippies che vengono sterminati e non portano a compimento la vera strage in cui fu uccisa Sharon Tate. Ma anche questa finzione cinematografica Quentin l’aveva già usata in “Bastardi senza gloria”. Quindi, con un Brad Pitt più preoccupato di come indossare gli iconici occhiali da sole e di dimostrare di avere un fisico di tutto rispetto anche a sessant’anni, e un Di Caprio, invece, sempre più imbolsito e stanco, poco rimane di questo film ascrivibile alla categoria “esercizi cinematografici che non lasceranno alcun segno a parte per i fan sfegatati del regista di culto”.

E buona notte Hollywood.

PS contento, invece, per l’oscar vinto quest’anno da Emma Stone.

sostituzioni

I “giornalisti” si sostituiscono ai giudici

I giudici si sostituiscono ai politici

I politici si sostituiscono agli influencer

Gli influencer si sostituiscono ai medici

I medici si sostituiscono agli opinionisti

Gli opinionisti si sostituiscono agli scienziati….

Hans plays with Lotte, Lotte plays with Jane
Jane plays with Willy, Willy is happy again
Suki plays with Leo, Sacha plays with Britt
Adolf builds a bonfire, Enrico plays with it

Whistling tunes
We hide in the dunes by the seaside

Whistling tunes
We’re kissing baboons in the jungle
It’s a knockout

strani paragoni musicali

Cerco le mie strade con associazioni casuali e non sempre logiche. Ma del resto cosa c’è di logico in questo mondo? Solo l’apparenza (o lo sforzo di fare ordine enciclopedico contravvenendo alle leggi entropiche). Dunque, in questi giorni (in cui si parla, purtroppo, molto di musica e di tutto ciò che le gira intorno), mi sono capitati per le orecchie due album che non conoscevo o conoscevo poco. Si tratta, nell’ordine, di “Low” di David Bowie (1977) e “Spirit of Eden” dei Talk Talk (1988). Che non hanno nulla in comune tra loro. Eppure sono saltati fuori da un cilindro magico ed hanno illuminato un pezzetto della mia vita presente. Perché? In buona sostanza perché sono quanto di più lontano si ascolta nel 2024.

“Low” è un album sperimentale, depresso, ritmico, futuristico.

“Spirit of Eden” è il suicidio discografico di una band che era stata pop fino a poco tempo prima.

Due album senza compromessi, ricchi di sonorità, forza creativa, introspezione, libertà. Il primo nato in un periodo di necessario cambiamento per Bowie dopo gli eccessi con la droga negli USA. Il secondo ispirato dal genio intimista e sofferto di Mark Hollis, altrettanto insofferente a certe regole dello showbiz.

Suonano belli, innovativi, spiazzanti, privi di compromessi, in alcuni tratti pallosi, in altri necessari. Richiedono concentrazione all’ascolto, perché ricchissimi di sfumature.

Insomma due opere, lo ribadisco anche nel finale, che sono tutto ciò che la musica di oggi non è.

a braccia tese

La distanza che intercorre, a Roma, tra Via Acca Larenzia e la sede dell’IISS “Charles Darwin” è di soli 400 metri (5 minuti a piedi). Il liceo è ospitato in un palazzone degli anni 60, non particolarmente bello, che si affaccia su Via Tuscolana, nell’omonimo quartiere (che ha una popolazione di circa 99 mila abitanti). Come gran parte degli edifici scolastici italiani sconta, almeno da un punto di vista architettonico, quell’irrefrenabile impulso dei geometri-architetti di modellare i luoghi destinati all’insegnamento secondo canoni estetici prossimi alla case circondariali, con il chiaro scopo di mortificare gli alunni e ridurre ogni velleità ad apprezzare il tempo che viene trascorso tra i banchi di scuola.

Sarà per questo motivo che la facciata principale, prospicente ad un’arteria di grande scorrimento, viene utilizzata per “l’estro creativo” di writers, ma soprattutto dei fascistelli che vivono nel quartiere che la usano per appiccicare i loro manifesti inneggianti alle lotte, ai camerati caduti e a tutto l’armamentario ideologico che si portano dietro.

Il rito va avanti da molti anni, INDISTURBATO: basta fare un giro sulla rete per trovare decine di articoli di cronaca che riportano sempre le stesse notizie. Il raduno di decine di simpatizzanti, l’affissione di manifesti per tutta la città, le marce, le braccia tese. Al seguente link trovate la manifestazione del 2019, pubblicato sulla pagina di fanpage con un filmato molto interessante: qui.

Un pò inquietanti tutte le camicie nere che sfilano ordinate per le vie della città. Niente DIGOS, niente interrogazioni parlamentari. Tutto lecito, tutto perfetto.

Nel 2018 la facciata della scuola era stata pulita (a spesa dei contribuenti) per togliere di mezzo scritte ed altre amenità (incluso uno “splendido” striscione dedicato alle vittime delle foibe). In tale occasione l’allora Assessore alla scuola, cultura e sport dichiarò:

i vandalismi che deturpano le pareti esterne delle scuole contribuiscono a creare quell’idea di abitudine al degrado, all’abuso, all’arbitrario e protervo spregio delle regole del vivere comune contro cui cerchiamo, insieme alle comunità scolastiche, di reagire. Il messaggio educativo che, sostenendo l’operato del personale delle nostre scuole e affiancandoci ad esse nel costante sforzo di rendere concretamente operante il rispetto della Costituzione, ci impegniamo a trasmettere alle giovani e giovanissime generazioni è quello di non rassegnarci alla sensazione di frustrazione e impotenza di fronte alle ‘brutture’ etiche prima ancora che estetiche, bensì di continuare a tutelare in modo pacifico ma determinato i nostri “beni comuni”: il contributo di ognuno di noi è importante in tal senso, per quanto piccolo possa sembrare”.

Tutto inutile, nel giro di poco tempo le brutture son tornate, più copiose di prima.

Nel 2024 una nuova scritta, a caratteri fascisti è comparsa sulla facciata della scuola, omaggio proprio Acca Larenzia: «1978 – 7 gennaio – 2024. Se il mio sangue sgorga sarà più caro e fecondo alla mia stirpe», si leggeva. E poi una croce celtica col riferimento esplicito ad Acca Larenzia. Tutto rimosso, prima che gli studenti entrassero in classe. Considerate le dimensioni dello striscione e il fatto che tutti gli anni l’operazione si ripete, presumo che molti abbiano fatto finta di non accorgersi, nè hanno messo in campo alcuno strumento dissuasivo (telecamere di sicurezza, pattuglie di vigilanza, ecc?).

Dunque, la facciata del Liceo è una sorta di enorme lavagna su cui è lecito affiggere ciò che si vuole. Un poco come quando si andava a scuola e si scriveva sulla superficie di ardesia con il gessetto “Tizio ama Caia”, “Forza Roma o Forza Lazio” o i più artisticamente dotati disegnavano organi genitali di varie forme e dimensioni.

Il dibattito politico dopo il 7 gennaio si affievolirà nuovamente. Negli scantinati, più o meno clandestini, i grafici fascisti sono già all’opera per realizzare il prossimo manifesto.

Intanto, ironia della sorte, mi viene da chiudere questo breve sfogo con le parole dell’uomo cui è dedicata l’incolpevole scuola sulla Tuscolana: “L’uomo, nella sua arroganza, si considera una grande opera, degna dell’intervento di una divinità. Più umile e, credo, più verosimile, ritenerlo creato a partire dagli animali“.

Di bestie si tratta, appunto, dal braccio teso.