la perfezione in un istante

Mi è capitato di entrare in un bar, perchè era nato in me il desiderio di un caffè. Non sono un grande appassionato del nero beveraggio, ma in alcuni momenti del giorno, o in particolari condizioni, ne apprezzo il conforto. Il bar era il solito bar: sfilata di caramelle e dolcetti vicino alla cassa, parata di pacchetti di sigarette dietro la cassa, biglietti colorati e miliardari delle varie lotterie accanto alla cassa. Ho pagato l’obolo (90 centesimi) e con la formula: “un caffè, per favore”, accompagnata da un gentile sorriso, ho atteso che il barista mi servisse quanto richiesto. Ed eccolo lì, dopo pochi istanti, versato in una tazzina bianca decorata da Dolfres: nero, cremoso, accompagnato dal cucchiaino e dal piattino. Sotto una bella luce.  Il mondo si è fermato. Mi sono commosso. Avrei potuto perfino scattare una foto, ma mi sono astenuto. Per non interrompere un piccolo segno di armonia in un mondo distonico.

Zucchini (i racconti del sottocasa)

Fino a qualche tempo fa, vicino casa mia, c’era un baretto di quartiere, tra il parrucchiere dei cinesi e la pizzeria, dove si raggruppava l’umanità varia e derelitta: pensionati appassionati dei giochi di carte, immigrati con la slot machine facile, lavoratori (operai ormai non fa più fino) da fine turno, lesbiche problematiche, ubriaconi dell’est-europa. Gente un pò così, a rotazione in varie ore della giornata (anche per fasce di tempo libero), abituata a trascorrere qualche tempo seduta ai tavolini. A conversare, a parlar male del governo o della squadra di calcio Y, a tirar giù madonne o affogare qualche dispiacere in un bicchiere. Gente normale, popolare, banale, con poche speranze. Umanità.

Da alcune settimane il bar è stato chiuso e trasformato in un cantiere. Prima era piuttosto sordido ed anche un pò lurido. Adesso, invece, è in corso la ristrutturazione e già si vede che sarà una cosa diversa: moderno, pulito, addirittura internazionale. Si chiamerà bar “courgette”. Un bar  denominato “zucchina”, alla francese, a Roma….

Con buona pace degli amici di prima.

i cordplei (angel sent from up above… e pure un pò più in su)

Auuuuhuuu, Auhhhuuu (the scientist). I Coldplay mi piacevano ai tempi di “Yellow” per quella faccia storta sotto un cielo di stelle e la saliva alla bocca del cantante (come si chiama? Coso cosetto … ). Erano giovani e chitarrosi. E  poi cantavano slow and pop. Erano cold ed anche un pò play. Non li ho mai persi di vista in questi anni. Siamo cresciuti insieme, si può dire. Un buon gruppetto, che fa il suo mestiere: educati, colorati, non particolarmente impegnati, felici e spensierati. Un pò come dovrebbe essere la musica. Non dei mostri. No, no di certo.  Mi ricordo pure di essere andato al loro concerto al “centrale del tennis”, a Roma (ma l’amore mio non ricorda, comincia avere una certa età).

Tutto questo per dire che fare bagarinaggio elettronico per il  concerto di San Siro,  a luglio 2017, è da idioti. E’ immotivato.  Per quella data spero di essere vivo, altrove e molto, ma molto felice.  Para-para-paradise.