Se vuoi che il presente sia diverso dal passato, studia il passato.

Il prossimo 10 giugno vi sarà una triste ricorrenza. Cento anni dal rapimento del deputato socialista Giacomo Matteotti, successivamente ucciso dai fascisti. Preconizzo che tale evento susciterà l’ennesimo inutilissimo accendersi di polemiche tra destra e sinistra, di cui si intravedono all’orizzonte i primi segnali (eventuale apposizione di una nuova targa commemorativa presso il palazzo in Via Giuseppe Pisanelli 40 in Roma, ove il deputato viveva, su cui gli attuali condomini si sarebbero espressi negativamente: la targa già c’è).

In effetti una prima scaramuccia di un certo rilievo si è avuta pochi giorni prima del 25 aprile, allorché il monologo dello scrittore Antonio Scurati è stato goffamente oscurato in TV per essere poi ripreso urbi et orbi. Quel pezzo esordiva così, proprio per mettere le cose in chiaro:

Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro“.

Il corpo di Matteotti fu ritrovato solo il 16 agosto, in avanzato stato di decomposizione, e successivamente seppellito nel suo paese d’origine il 21 agosto.

Sul sito della casa museo di Matteotti (luogo e sito che vi consiglio di andare a visitare) c’è una bella e completa collezione di immagini d’epoca che trovate qui, da cui ho tratto la foto a corredo di questo breve post che non ha una fine, non ha una morale, ma serve solo a ricordare. La puzza della morte, la puzza della dittatura.

mollare tutto

Con una certa regolarità (praticamente un giorni sì e l’altro pure) il quotidiano “La Repubblica” pubblica brevi articoli edificanti dedicati a persone scontente, cioè che facevano lavori che non gli piacevano (tipo manager di una grande impresa), che, però, mollano tutto, cambiano vita e ritrovano sé stesse.

Gente che si mette a coltivare la pastinaca, che fa il giro del mondo in barca a vela, che si ritira in un eremo a contare bachi da seta. Gente felice che fugge dal capitalismo neoliberista schiacci sassi, comunque molto ricca o sufficientemente abbiente che indica la via a noi comuni mortali, costretti alla ruota del lavoro.

Essi sono i nuovi eletti, quelli che hanno capito tutto, quelli che moriranno felici ed appagati di aver realizzato i loro (stupidi) sogni.

Vi odio.

Teofilo Patini – Bestie da soma (1886)

la celebrazione della vita, magari sbilenca, imprecisa, imperfetta

Vivere come volare
Ci si può riuscire soltanto poggiando su cose leggere
Del resto non si può ignorare
La voce che dice che oltre le stelle
C’è un posto migliore
Un giorno qualunque ti viene la voglia
Di andare a vedere, di andare a scoprire se è vero
Che non sei soltanto una scatola vuota
O l’ultima ruota del carro più grande che c’è

Ma chiedilo a Kurt Cobain
Come ci si sente a stare sopra a un piedistallo
E a non cadere
Chiedilo a Marilyn
Quanto l’apparenza inganna
E quanto ci si può sentire soli
E non provare più niente
Non provare più niente
E non avere più niente
Da dire

un mondo a parte (che vale doppia recensione)

Per questioni di ordine lavorativo vivo in Abruzzo dal 2021, pur essendo romano. In questi tre anni, spinto molto dalla curiosità del neofita, ho girovagato per la regione, in lungo ed in largo, per comprendere usi e costumi della popolazione ed apprezzare al meglio storia, architettura, tradizioni, usi, costumi, cucina, flora e fauna. Non sono diventato più abruzzese di un abruzzese, ma mi sento partecipe e vicino a questa gente. In parte il processo di assimilazione è occorso anche grazie alla pagina FB denominata “L’abruzzese fuori sede” che mi ha ulteriormente spalancato le finestre, con sottile ironia, su tanti aspetti della vita quotidiana, spesso legati al linguaggio. E si sà, le parole sono importanti.

Ho, quindi, accolto con benevolo interesse l’uscita del film “Un mondo a parte”, che sono andato a vedere in anteprima all’Aquila, ambientato ad Opi nel Parco nazionale Abruzzo, Lazio e Molise. Opi nel film è stata ribattezzata Rupe, ma secondo me era meglio lasciare il nome originario anche in onore di Escher che dell’antico borgo trasse alcune bellissime immagini. Stop divagazioni e veniamo alla sostanza di questa recensione. Il film di per sè non è nulla di eclatante. E’ carino, diretto bene, gli attori sono bravi (anche quelli non professionisti), la storia è piacevole, il messaggio arriva. Ma è tutto qui. Non è un capolavoro, non è una forte denunzia sociale. Però, ha un elemento in più: un fortissimo battage pubblicitario. Ovvero, il regista e i due attori principali sono praticamente in tournè in tutti i cinema d’Italia (anche quelli più infimi) per promuovere il film. E la cosa ha funzionato. Tant’è vero che alla premiere cui ho preso parte le due principali sale erano piene di gente. E i dati dei film più visti durante il periodo pasquale collocano il menzionato film ai primi posti.

L’assunto conclusivo è: se sai fare una buona pubblicità (e scegli attori di richiamo che stanno simpatici al pubblico), ti verranno a vedere. Al di là della validità del prodotto che proponi.

Ieri sono andato a vedere “Zamora”, appena uscito. Che è altrettanto leggero, ben recitato, garbato, umano, interessante e tutto sommato valido. E in sala eravamo in quattro.

Tî mmènde!

Duna

«Senza DuneGuerre stellari non sarebbe mai esistito» (George Lucas).

Parto subito con una bella citazione per introdurre l’amabile e solitario lettore che mi segue ad un’altra imperdibile recensione dedicata, questa volta, al film “Dune” in programmazione ormai da tempo nelle sale cinematografiche italiane. Film da me visto in un’enorme sala dall’impianto sonoro pompato al massimo (che a tutti gli effetti ha il suo perchè, soprattutto nelle scene epiche).

Premesso che non ho letto i libri e che la visione di “Dune – part 1” risale ad alcuni anni orsono e non sono andata a ripassarla, ho approcciato il film a mente sgombra e priva di pregiudizi, solo per il piacere di entrare nella narrazione fantascientifica.

La trama dell’opera è riassunta perfettamente nelle successive strofe, tratte dal brano dei Baustelle e i Cani:

Non scompiglia, forse, i tuoi capelli
Un poco dello stesso vento che spirava a Babilonia
Che soffiava su altre vite e carovane già passate
Sulla via, prima di noi?

Non c’è, forse, dentro la tua voce
L’eco di un amore atroce, l’ombra di una connessione
Tra i cantanti micidiali della tua generazione
E Nabucodonosor?

Inoltre, in considerazione della complessità della trama con casate, nomi di fantasia e intrecci vari, lo spettatore medio rischia di cadere nell’effetto “Kmer figlio di Pdor” ovvero il cavallo di battaglia dei comici Aldo, Giovanni e Giacomo dei tempi migliori. Per esempio, nella sceneggiatura dei dialoghi, il seguente passaggio avrebbe potuto funzionare alla grande:

Io sono il grande Pdor, figlio di Kmer della tribù di Instar! Della terra desolata del Sknir! Uno degli ultimi sette saggi! Purvurur, Garen, Pastararin, Giugiar, Taram, Fusciusc e Tarin He! Colui il quale può leggere nel presente, nel passato e anche nel congiuntivo!

A livello di trama, non si provano grandi sorprese: i cattivi fanno i cattivi, i buoni fanno i buoni e ognuno muore o vince quando è opportuno, senza grande coinvolgimento emotivo. Ecco, forse, la pecca più grande di questo film è non riuscire a rendere del tutto il tormento del protagonista e la difficoltà delle sue prove di iniziazione. Per il resto le ambientazioni sono belle, gli effetti speciali funzionano, i vermi fanno i vermi, le astronavi fanno le astronavi, le battaglie sono battaglie (ma io non riesco a comprendere come mai nei racconti di fantascienza, pur avendo a disposizione armi di distruzione di massa potentissime, alla fine tutto si riduce a scazzottate o a duelli con la spada. Ma davvero?) .

A chiusura di questo pezzo, vi segnalo che sebbene il titolo del film sia scritto uguale in inglese e in italiano, nella lingua albionica è sostantivo femminile singolare. Appare, quindi, chiaro che la Fiat Duna è l’ unico vero e semisconosciuto tributo della casa automobilistica torinese all’opera letteraria di Frank Herbert.

CCCP (che si pronuncia SSSR)

A cavallo tra gli ottanta e i novanta, nei corridoi marmorei dell’università privata ove presi la laurea, nel tempio di confindustria e del capitalismo rampante, noi studenti di economia si ascoltava nei walkman (oggetto preistorico e sconosciuto ormai ai più), tra una lezione e l’altra, i CCCP.

E ho detto tutto.

Mo’ tutto ‘sto revival, ‘sto finto rimpiantismo, ‘sta celebrazione , ‘ste polemiche sul costo dei biglietti. Ma andate un pò in vacanza in uno splendido Glavnoe upravlenie ispravitel’no-trudovych lagerej.

le grandi rivoluzioni occasionali

C’era un mio amico di tanto tempo fa che era sempre avanti su tutto. Le cose le sapeva prima e le sperimentava per primo. Non so come facesse, ma ci riusciva. Immagino l’ebrezza di essere uno sperimentatore, quello che fa i primi passi, da solo o quasi. Il suo campo preferito era quello dell’informatica e, in particolare, il web. Il rovescio della sua spasmodica ricerca della novità era rappresentato dal fatto che appena qualcosa diveniva di uso comune, si disamorava presto, per dedicare la propria attenzione ad altro. In questo, il suo comportamento era di sicuro quasi elitario. Ora, nel campo dell’evoluzione tecnologica la rapidità con cui si succedono le innovazioni ha raggiunto ritmi piuttosto vertiginosi, un pò per spinta commerciale, un pò per effettivo progresso. Ed è anche piuttosto ovvio che, ogni volta che viene fatto un salto in avanti, anche di natura quantica, difficilmente si torna indietro o si rimpiange il passato.

La stessa cosa è avvenuta con i social, in un arco temporale tutto sommato piuttosto breve. Direi circa venti anni. Che è grosso modo da quando ho iniziato a scrivere il mio blog in territori che non esistono più (la migrazione sull’attuale piattaforma, occorsa nel 2011, mi ha fatto perdere, purtroppo, il pregresso che, almeno a memoria, dovrebbe risalire addirittura al millennio precedente). Ricordo, ad ogni modo, in maniera molto netta la sensazione di onnipotenza che mi conferiva possedere un sito personale (piuttosto statico) trasmutato poi in diario di bordo digitale. Mi sembrava di far parte di una setta, di un gruppo di felici cospiratori, tutti accomunati dal desiderio di esporre pensieri, condividere letture ed opinioni, costruire percorsi dialettici. Certo, non ero bravo come gli organizzatori di boot camp e premi macchianera et similia. Ma avevo la sensazione di alimentare un processo di crescita e confronto. Il digitale stava aprendo nuovissime frontiere e l’identità acorporea si vestiva di nuove valenze e super poteri. Di quella stagione lì, a distanza di tempo, non è rimasto quasi nulla. I processi di comunicazione hanno preso altre vie, i blog sono divenuti desueti e soprattutto, l’uso del web è divenuto “volgare”, mosso da bassi istinti e da poco avveduti soggetti. Se un tempo si cercava la dotta e calzante citazione, frutto di letture o passaggi cinematografici, adesso siamo alla fase “rutto libero” (molto spassosa, ma poco gratificante). E’ come se si fosse persa la solida compostezza di persone che avevano piacere a ragionare in favore dell’esaltazione del corpo sciolto. Più democratico, senza alcun dubbio, ma anche di gran lunga meno interessante.

Capisco, quindi, il mio amico di un tempo che si annoiava presto dell’ultima novità. Lui, di sicuro, è andato molto avanti, conscio (non so quanto) che l’unica cosa interessante è cogliere la traiettoria nel momento in cui si dispiega e traccia un percorso, mentre io sono ancora qui a scrivere a favore di non si sa bene chi. Forse solo a me stesso.

sostituzioni

I “giornalisti” si sostituiscono ai giudici

I giudici si sostituiscono ai politici

I politici si sostituiscono agli influencer

Gli influencer si sostituiscono ai medici

I medici si sostituiscono agli opinionisti

Gli opinionisti si sostituiscono agli scienziati….

Hans plays with Lotte, Lotte plays with Jane
Jane plays with Willy, Willy is happy again
Suki plays with Leo, Sacha plays with Britt
Adolf builds a bonfire, Enrico plays with it

Whistling tunes
We hide in the dunes by the seaside

Whistling tunes
We’re kissing baboons in the jungle
It’s a knockout