Da dove venite? A chi appartenete? Cosa andate cercando? Un letto….

Come dissi alcuni post orsono, mi sto cimentando con l’opera letteraria di Vinicio Capossela, il “Paese dei coppoloni”. Ero partito con le migliori intenzioni, perchè so che Vinicio ha una grande padronanza del linguaggio e del mito (oltre che della musica), e quindi ogni sera, prima di scivolare nel sonno, leggo le mie paginette. I capitoli sono in genere brevi e raccolgono umori, spunti, personaggi e luoghi. Ma ecco, se devo dirla proprio tutta, è una lettura che non mi sta appassionando. Non riesco a trovare  qualcosa che parli veramente alla mia anima, un passaggio che mi faccia scattare “l’ah, però! Moh  questa me la segno”. Magari non  era quella la finalità del libro. Forse la finalità era un’altra: conciliare il sonno. E ci riesce benissimo. Sarà che in questo periodo sono stanco e con un anno di impegni sulle spalle.

Il modo di salvare questo libro? Invitare Vinicio a casa mia e farmelo leggere da lui.

Come qui al Salone del libro di Torino.

cose che non ho

Ma si può passare una vita a sentirsi inadeguati? A provare ad affermare sé stessi, a cercare di attirare l’attenzione, muovendo la manina, sperando che qualcuno ci noti e ci apprezzi? Ehi, sono qui! Sono bravo e buono. Ciò che faccio non è per ferire o umiliare. Ciò che faccio, lo faccio per amore; perchè ci credo. Vorrei amore da chi mi sta intorno e porto avanti il mio progetto, senza capire dove mi condurrà effettivamente. Farò più errori o centrerò più obiettivi? A volte, credo di essere così solo ed insicuro, che tutto questo agitarsi, mi spaventa e ricaccia in un angolo.

Cose che non ho,
cose che non avrei potuto avere mai,
e cose che non so,
le cose che non ho
sono ciò che sono e non chiedono scusa.

E ci sta questa canzone che mi suona dentro …

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meglio “ricorda” o “presente” ? (quelli per cui la guerra non è mai finita)

“Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio/dei primi fanti il 24 maggio”. Sono i primi versi della canzone del Piave. Studiata a scuola alle elementari. Questo vi dà un’idea di quanto io sia vecchio anagraficamente e di quanto la scuola sia cambiata in una roba informe. Ieri si è commemorata e ricordato l’entrata dell’Italia in guerra. Belle parole, bei discorsi ufficiali, molto moderati, politically correct, con la giusta prospettiva della storia. Il Presidente Mattarella, ad esempio, è stato equilibrato ed ha ricordato nelle sue parole che: “Il conflitto fu una tragedia immane, che poteva esser evitata . I caduti di ogni nazione e di ogni tempo ci chiedono di agire con le armi della politica e del negoziato, per affermare la pace“. Ineccepibile. A pochi chilometri dalle coste europee, intanto, sventolano bandiere nere, si uccidono civili e bambini, si distruggono siti archeologici e si cerca di riportare il mondo ad un medioevo trucido e retrogrado. Affermiamo la pace, senza muovere un dito. O meglio, facendo premere il grilletto ad altri. L’Europa, conscia delle sue tragedie e delle sue mattanze, ricorda i caduti del Primo conflitto mondiale e si gira dall’altra parte senza considerare i caduti e gli uccisi di oggi. Sicura che in qualche modo ciò che succede oltre confine, si risolverà da solo. Sembra quasi di assistere alle schermaglie diplomatiche ante-conflitto. Chi, ad esempio, avrebbe scommesso che impero austro-ungarico o impero russo o impero ottomano sarebbero finiti nel giro di pochi anni? Spazzati via per sempre. E’ da aspettarsi un simile esito anche per noi democratici occidentali?

L’esercito marciava per raggiunger la frontiera/ per far contro il nemico una barriera!” Infatti, abbiamo i vari Salvini, Meloni e compagnia varia che issano vessilli, tracciano solchi e agitano spade di cartone per rispedire indietro la marea umana che fugge dalle guerre, dalla fame e dai soprusi. Un sud del mondo che non ci interessa, che non vorremmo esistesse ,che ci pone solo problemi mentre noi abbiamo cose più importanti da fare: tipo cementificare l’Italia, rubare i soldi pubblici, vivere con un’amministrazione inefficiente, non garantire il lavoro.

“Muti passaron quella notte i fanti,/ tacere bisognava e andare avanti. ”
A latere la polemica della Provincia autonoma di Bolzano che si rifiuta di issare il vessillo nazionale perchè qualcuno strumentalmente crede che ancora esista l’Austria felix degli Asburgo (quelli che impiccavano e fucilavano cristianamente). E ci mangia sopra benissimo e tantissimo. Dai 600.000 mila morti che vuoi che siano. Erano italiani. Noi siamo “autonomi”.

S’udiva intanto dalle amate sponde/sommesso e lieve il tripudiar de l’onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero. /il Piave mormorò: “Non passa lo straniero!”

La canzone del Piave è stata l’inno nazionale dal 1946 al 1947 , quando l’Italia era un paese devastato dalla guerra, dalle conseguenze del regime e dalla guerra civile. Sarà per questo che me l’hanno insegnata a scuola? Perchè al di là di tutti gli orrori siamo divenuti italiani solo alla fine del Primo conflitto mondiale? Si vede quanto il nostro Paese sia fragile, democraticamente impreparato, povero di storia e di cultura. Lo si vede nel triste spot tirato fuori per commemorare un nodo fondamentale per la nostra identità nazionale: uno scialbo “Ricorda” che nessuno ricorda. Più ci allontaniamo dal fragore della Prima guerra mondiale e più tutto diventa confuso e banale. Bastano cento anni, un battito di ciglia. Eppure la distanza che mi separa da mio nonno (che di guerre mondiali se n’è fatte due) non è poi così grande. Ai miei figli che sono nati dopo il 2000 che vivono nell’abbondanza, nel mondo iper connesso, nell’Europa pacificata ma egoista vorrei trasmettere qualcosa di diverso: un senso di appartenenza (che non vuol dire essere prevaricatori, ma neanche coglioni), la capacità di saper rispettare il sacrificio di chi ci ha preceduto ed ha cercato di meritarsi un riscatto, che non ci sono scorciatoie facili, mai. Tutti gli altri che si agitano sul fondo  son solo squallidi opportunisti.

“Sul patrio suol vinti i torvi Imperi, /la Pace non trovò né oppressi, né stranieri!”

mad max (c’è ancora un futuro senza petrolio)?

Venerdì sera io e l’amore mio siamo andati a vedere “Mad Max” al cinema Doria, spettacolo delle 22.00. Vuoi per il cattivo tempo, vuoi per le molteplici distrazioni che offre la vita moderna, in sala eravamo 4 gatti spelacchiatelli, abbastanza in tono con i personaggi della storia post-nucleare. Peccato, perchè il film in questione è un action movie che si lascia vedere assai agevolmente e non annoia: non prevede pistolotti morali, non propone modelli, non cerca sfumature sottili.  E’ basato, piuttosto sul più classico degli schemi: un viaggio (andata e ritorno), in cui rischiare la pelle.  Che tu sia Ulisse o la Furiosa, il viaggio presuppone incontri con nemici, stipula di alleanze ed attraversamento di luoghi in genere non dei più confortevoli. Che tu sia a bordo di una nave o di una blindo cisterna sta alle tue capacità, alla tua forza ed alla tua astuzia tirarti fuori d’impaccio.  Il film arriva diritto alla fine senza deragliare, ricco di costumi, orribili mostri e paesaggi desolati. Con gran rombo di mitraglie e motori (la cosa più fica in verità sono i mezzi meccanici con cui si sfidano i protagonisti, sorta di ibridi riassemblati furiosamente) e neanche un distributore di benzina nel raggio di chilometri (senza però che nessuno rimanga mai a secco, nonostante le centinaia di cavalli scomodati).

Essere post-atomici ha i suoi vantaggi.

miranda the panda is on the veranda

Mentre arrancavo stamani sul salitone di Villa Borghese, spingendo sui pedali della mia mountain bike, destinazione ufficio, sono stato superato da una composta signora anche lei in bicicletta, ma servoassistita. L’ho un pò maledetta, ma era solo invidia. Pedalare spingendo duro sulle proprie gambe, invece, è bello, è giusto, è sano. Chi si servoassistisce è un pò come se barasse. Lungo la strada ho salutato il monumento a Victo Hugo, a Goethe e  pure al generale Josè Artigas  (e a tutti gli uruguagi del mondo). I leoni in pietra mi hanno fatto miao e la statua di De Chirico   si è voltata per fare un cenno, prima di tornare ad avvolgersi nel suo abbraccio amoroso. Al galoppatoio è quasi tutto pronto per Piazza di Siena, con i cavalli portati a spasso nell’aria fresca del mattino. Poi, ecco Porta pinciana con i suoi merli e Via Veneto e giù per la discesa a mandar baci ai fantasmi di Federico Fellini e Walter Chiari. Caffè semideserti, vetture nere noleggio con conducente, platani maestosi e rigogliosi. Ancora un angolo da svoltare e via, con il vento che fischia ed il rumore compatto del battistrada sull’asfalto drenante.

Roma, in bici, è tutta un’altra cosa.

i facilismi (un post tenuto nel casetto per molto tempo)

Un tempo su “L’Espresso”, la rubrica “l’antitaliano” era curata da Giorgio Bocca. Era una rubrica spesso molto livorosa, poichè Bocca non era un personaggio facile e non era nemmeno felice di ciò che vedeva intorno a sè (come dargli torto). Adesso, la stessa rubrica la cura Roberto Saviano. Con uno stile ed una visione molto diverse. Il gap generazionale è evidente. Si parla di temi importanti: criminalità, legalizzazione delle droghe e società. Ma le chiavi di lettura che Saviano usa su alcuni temi a volte lasciano un pò sconcertati. E’ ferratissimo su mafia e camorra, ma  lo senti scricchiolare  su questioni che non sono sue proprie. Per esempio, il dibattito sull’omosessualità, “facile” da spiegare ai bambini. L’editoriale parte dalla questione delle sentinelle in piedi e dei rigurgiti omofobi che la società italiana conosce molto bene. “Chi sa cosa vorrà mai dire: bisogna procreare in maniera naturale, le coppie devono essere quelle naturali, ci si deve amare in maniera naturale, i rapporti sessuali devono essere naturali.” L’acceso dibattito ruota intorno ad un concetto di per sè scontato, su cui, peraltro, si sono costruite le società ed il diritto di famiglia: per la prosecuzione della specie, in via ordinaria, la natura prevede che uomo e donna si debbano accoppiare. Perchè Saviano si pone questa domanda? Perchè un meccanismo oggettivo (pene/vagina) è così complicato da ammettere? In via ordinaria, escludendo adozioni, inseminazioni, fecondazioni assistite, impianti, espianti e faccenduole varie (che spesso sfiorano il territorio delicatissimo dell’etica), la natura ha previsto che lo spermatozoo si fissi sull’ovulo e dia inizio ad un meraviglioso processo. Punto. La natura, altresì, non esclude l’omosessualità, anzi l’ha prevista. Non è una malattia, non è una tara genetica, non è contagiosa, non è irreversibile (al pari dell’eterosessualità). C’è, ha un suo ruolo, una sua specificità. Non contempla, sempre in via ordinaria, la riproduzione. E’ forse qui la radice del divario naturale/innaturale? E’ da qui che partono i meccanismi di autodifesa inconsci che poi degenerano in violenza e prevaricazione? E’ l’istinto della sopravvivenza che ci fa denigrare il diverso? Può darsi. Sull’argomento si discute da alcune migliaia di anni, con alterne fortune.  Saviano non aggiunge nulla. Anzi, in un afflato di buonismo sterotipato giunge a dichiarare: “Con la complessità della vita, della nostra e di quella altrui, dobbiamo abituarci a fare i conti e a trovare parole, quelle adatte, per descrivere i nostri stati d’animo di fronte a fatti che non riusciamo a spiegarci. “ Ma dai? !!!  E poi parte il pezzo forte dedicato alle diverse forme dell’amore, con tanto di lago dei cigni con ballerini maschi e principe che si innamora di un cigno-uomo. Spettacolo pomeridiano con pubblico anche di bambini che pur ponendosi qualche lecita domanda su ciò che hanno visto (così, tanto per capire) alla fine trionfano sui cattivi adulti: “Per i bambini è molto più semplice superare i tabù perché non hanno ancora avuto il tempo di strutturare il loro mondo in compartimenti stagni e la famiglia per loro è un luogo di amore, perché a loro davvero basta quello.” Questa è una delle cazzate più grosse che si possano dire in giro. I bambini osservano e giudicano, più e meglio dei grandi. Sanno essere possessivi, crudeli, infidi e violenti con le dovute proporzioni. Reagiscono agli abusi ed alle ingiustizie ed hanno il diritto di chiedere e di avere risposte ai loro dubbi ed alle loro incertezze. Anche quando qualcosa non gli suona poi così “naturale”.

Ad ogni modo, l’articolo di Saviano è qui.

Ciao Pippo, fai buon viaggio

Caro Pippo, ti ho letto (e in parte seguito) in questi mesi con molto affetto e simpatia. Mi piacciono la tua faccia ed il tuo pensiero. Mi piace il modo semplice che hai di spiegare le cose. Mi piacciono la tua ironia e la capacità di non essere pesante o volgare. Mi riconosco in molte delle tue scelte. Sei un politico un pò anomalo, in un contesto di gente pessima e di bassa levatura (indipendentemente dallo schieramento politico). Ho letto le tue parole di addio (qui),  proprio per capire cosa pensi effettivamente e le motivazioni della tua scelta. E ci sono rimasto molto male per questi due passaggi: “Per ragioni di coerenza passo al gruppo misto, nella considerazione che anche il gruppo del Pd lo sia diventato, avendo accolto parlamentari di tutte le provenienze. (…)

E certo mi dovrei dimettere da parlamentare, fare come ha fatto Walter Tocci (che fortunatamente è ancora senatore), ma faccio notare che mi dimetto volentieri se lo fanno anche tutti gli altri: se cioè si andasse a votare, anche subito, ciascuno con il suo programma, per darsi una vera legittimazione.

Ecco, se tiri in ballo la coerenza e vuoi dare un bel segnale a tutti, caro Pippo, altro che gruppo misto. Dimissioni e basta. Non ci si dimette solo se lo fanno tutti gli altri. Non ha senso. Caro Pippo, sei stato eletto perchè facevi parte del PD, hai corso con quella squadra, ne hai condiviso il progetto anche se poi hai iniziato a criticarlo. Ti hanno votato perchè facevi parte di quel partito ed hai potuto usufruire di tutti gli strumenti che tale partito ti ha offerto. Quindi, se non ti riconosci proprio più, un bel saluto e ci rivediamo alle prossime elezioni. Dove ti presenterai con amici e colori diversi. Ed alla prova del voto capirai se quello che hai detto e scritto avrà convinto l’elettorato a darti nuova fiducia. In caso contrario, è sufficiente occupare quella poltrona (una sola, ne basta una sola) per essere considerato (almeno da me) un abusivo.

Comunque, io ti voglio bene.

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Vinicio

E se tutte queste cose non erano buone, il Patraterno non le creava. Si faceva i cazzi suoi” (C.V. 10,26) Questa è la dedica all’inizio del libro “Il paese dei coppoloni” immaginato e scritto da Vinicio Capossela. E’ il mio ultimo acquisto e mi accompagnerà nelle prossime settimane in un viaggio che spero lungo ed interessante.  Vinicio mi piaceva già ai tempi di “All’una e trentacinque”, giusto giusto 25 anni fa. Di strada e polvere, di vuoti e silenzi, di miti e mitraglie, di marajà e odalische, di 4 roses bourbon non tutti si possono permettere di cantare e raccontare.

non sapere dove guardare

Scorro (scrollo) i titoli ed i resoconti dei giornali sugli ultimi giorni  e mi viene un tal senso di tristezza che mal si concilia con le temperature semi-esitive di questo lunedì. Qui c’è un mondo fatto di luce, profumi e colori che invita alla vita, all’ottimismo, alla leggerezza, al buon umore. E, invece, ci dobbiamo confrontare con tute nere, vicine moleste ammazzate dal vicino, tragici sbarchi di migranti, scioperi e porcherie varie.

Chissà se ci rendiamo conto che stiamo sprecando quest’unica vita in un turbinio di cazzate sempre più gigantesche. Meno male che il nuovo disco dei “Blur” è super fantastico.