bells are ringing

Non lo sentite nell’aria il suono delle campanelle? Accompagnato dalle voci di Michael Bublè, Mariah Carey, Wham, Bruce Springsteen, Tom Petty, Robbie Williams, John Lennon, Josè Feliciano, Frank Sinatra, Paul McCartney, Bing Crosby, Mario Biondi e compagnia cantante…

donerò un milione a tutti quanti

Lo spot della Balocco di alcuni anni orsono si chiudeva con il claim “fate i buoni” recitato da un occhialuto e simpatico ragazzino. A Natale, si sa, è d’obbligo essere buoni. Anche se ci si è odiati ed uccisi per tutti gli altri giorni dell’anno. E dopo il Natale si ricomincerà da capo.

Ma torniamo al problema di base. A che serve, per un’ azienda “turbocapitalista” (per dirla alla Fusaro), promuovere la “beneficenza”? Non avvertite anche voi un leggero senso di smarrimento (e diffidenza) quando vengono proposte queste iniziative associate alla vendita di un prodotto. Io, in genere, sudo freddo e me ne tengo bene alla larga. Anche per cose apparentemente meritevoli quali riforestare l’Amazzonia (dovrei andare a controllare se effettivamente le piante sono state messe a dimora) , salvare il dodo (già estinto) o donare, appunto, apparecchiature utili ad ospedali e strutture sanitarie. Per carità, di cause meritevoli ce ne sono a decine e finanziarle tutte è impossibile. Vorrei aiutare i bambini affamati, quelli sordo muti, quelli con malattie genetiche rare, gli affetti da tumori e leucemie, gli alcolizzati, i drogati, i padri e le madri derelitti; l’orso bianco, la foca monaca, il panda, l’orso, il lupo, la faina, il dingo, il dodo (l’ho già detto?). Ma la formula “se acquisti questo prodotto la mia azienda devolverà lo 0,0000000000000000000000000000000001% delle vendite al caritatevole progetto XYZ” non mi farà mai sentire un cittadino migliore.

Anche perché, la beneficenza, nella sua accezione più vera e corretta, significa beneficare, il far del bene, come disposizione abituale. Qualcosa che si fa a prescindere, nel quotidiano. Magari senza troppi strombazzamenti. Guardando negli occhi la persona che vuoi aiutare e stringendole la mano.

Il cinema che mi ha fatto compagnia nel 2023

Nella stesura della lista dei films che quest’anno mi hanno lasciato buoni ricordi posso serenamente inserire “Mio capitano”, “Oppenheimer” e “C’è ancora domani”. Quindi, almeno in linea teorica, dovrei aver assolto i miei compiti da bravo ed attento cittadino medio informato che “va a vedere, al cinema, i film che contano che poi entrano a far parte delle cose che si dicono le persone normali quando fanno conversazione al bar.”

In particolare, il film della Cortellesi (che ho apprezzato tantissimo) è divenuto un caso nazionale (il bianco e nero, il neo neo realismo, i temi sociali forti ecc. ecc.) e tutti ad applaudire. Io compreso.

Però.

Però ci sta un film del 2022, che si intitola “Settembre” che, a mio avviso, sugli stessi temi che ruotano intorno all’universo femminile, è un altrettanto piccolo capolavoro. Magari meno militante. Forse, meno ideologico. In qualche maniera ottimista. Di sicuro a colori. A me è piaciuto molto e spesso ci ripenso.