E’ sabato mattina. Faccio le stesse cose degli altri giorni (vestirmi, uscire, prendere la metro, andare al lavoro), ma si avverte che c’è un ritmo diverso. C’è meno gente in giro, i miei riflessi sono stanchi. Così ascolto la musica nelle cuffiette, appoggiato al mio solito angolino, mentre il treno sferraglia; colgo lo sguardo di una ragazza bella che poi si immerge nella lettura di un libro e, alè, a mai più rivederci. Salgo le scale, riemergo in superficie e “Burning down the house” fa da perfetto corollario alla fontana delle api, ove tra l’altro si legge: « VRBANVS VIII PONTIFEX MAXIMVS
FONTI AD PVBLICVM VRBIS ORNAMENTVM
EXSTRVCTO
SINGVLORVM VSIBVS SEORSIM COMMODITATE HAC
CONSVLVIT
ANNO MDCXLIV PONT XXI » E subito scatta il fulminante ” ‘Sti ‘azzo di pontefici, moh, pure il giubbbileo straordinario (come se Roma non c’avesse già i suoi problemi di inefficienza cronica)…” Mi fermo al Gino bar (non è un posto dove fanno le visite ginecologiche) per prendere un buon cappuccino con il cuoricino disegnato sopra (senza cacao, per favore) e lo strudel di mele, quello tiepido. Mentre consumo mi intrespolo per leggere un articolo del giornale dedicato alla xylella fastidiosa (quanto li amo i batteri) e anche nel bar è sabato: non c’è proprio nessuno. Pago, saluto (non ricambiato) e vo’ via, verso Via Bissolati. Il sole è già alto, il cielo blu, il cedro del Libano dell’amabasciata americana fa cucù. Più avanti, la strada è vuota e mi verrebbe da fermarmi proprio in mezzo alla carreggiata, sulla mezzeria, chiudere gli occhi ed aspettare che il tir di “duel” mi travolga una volta per tutte. L’istinto di conservazione prevale in una frazione di secondo. Quindi, per soddisfare le mie frustrazioni di uomo occidentale, tecnologicamente all’avanguardia, cerco l’angolatura giusta per fotografare un albero di arance, carico di frutti. Un’immagine da donare al mondo che subito la dimenticherà. Ed il risultato è questo. Stento.
E fuori fuoco.