In questi giorni si fa un gan parlare degli esiti del Festival di San Remo. Una cosa di per sè ridicola, ma quest’anno abbiamo raggiunto baratri di stupidità straordinari. Non sono in discussione la qualità delle canzoni o degli interpreti, ma la figura e le origini del vincitore. Figlio di padre “scapestrato” e, dunque, storia biografica di un abbandono. Egiziano, sardo, milanese in realtà italiano. E già solo a voler mettere un’etichetta a tutti i costi, la dice lunga sui baratri di cui sopra. E poi gli autorevoli interventi del Ministro dell’interno, del presidente della RAI e gli haters on line, e i razzisti a prescindere e i “si stava meglio quando si stava peggio”. Insomma, una melma talmente densa e viscida che neanche il miglior alligatore si cimenterebbe in un bagno.
O stiamo parlando di San Remo… San R-e-m-o, questo ricorrente lassativo, attivo dal 1951.
In mezzo a quelle rose ci sono tante spine
memorie dolorose di chi ha voluto bene.
Son pagine già chiuse
con la parola fine.
E chi se la scorda Nilla Pizzi… nevvero?
Ma anche Giò Di Tonno e Lola Ponce. E poi i Jalisse , Gilda e Franca Raimondi. Madre! Io che faccio fatica a ricordarmi come mi chiamo, figurati quanto posso eccitarmi a fare l’analisi semantica dei testi delle canzoni (con le minchie dei tenenti, le alici, i tramonti sulla mia terra, i ragazzi di oggi, i salirò e le scimme che ballano).