una manciata di foglie secche

Kati K, giovane influencer è morta. Ammazzata. Dal suo profilo instagram ci guarda. Scatti in luoghi belli, esclusivi. Sempre carina, ben vestita, sempre in posa. Kati K a Milano, Venezia, Mikonos, Parigi, Dubai, Pisa, Firenze. Kati K era giovane, sorridente, con i grandi occhi da cerbiatta. Kati K ci consigliava di essere come lei, di attraversare i luoghi e fare la bella vita. Non lavorare, certo, ma rimbalzare da una spiaggia, a una sfilata, a un cocktail, all’intenro di una macchina di lusso.

Kati K è morta e il suo ultimo scatto consegnato agli utenti è a bordo piscina, in lingerie nera di pizzo , con una bevanda in mano.

La successiva sarebbe sul tavolo della morgue, ma quella dobbiamo solo immaginarla. E non è fine.

e dalli all’untore

«Essendo venuto a notizia del governatore che alcune persone con fioco zelo dì carità e per mettere terrore e spavento al popolo ed agli abitatori di questa città di Milano, e per eccitarli a qualche tumulto, vanno ungendo con onti, che dicono pestiferi e contagiosi, le porte e i catenacci delle case e le cantonate delle contrade di detta città e altri luoghi dello Stato, sotto pretesto di portare la peste al privato ed al pubblico, dal che risultano molti inconvenienti, e non poca alterazione tra le genti, maggiormente a quei che facilmente si persuadono a credere tali cose […] si fa intendere per parte sua a ciascuna persona di qual si voglia qualità, stato, grado e conditione, che nel termine di quaranta giorni […] metterà in chiaro la persona o persone ch’hanno favorito, aiutato, o saputo di tale insolenza, se gli daranno cinquecento scuti […] e che tal notificanti possa liberare dui banditi […] e sarà tenuto segreto.»

Pian, pianino la verità, o meglio la ricostruzione dei fatti, sull’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega sta venendo alla luce. Con gran delusione degli emotivi, dei frustrati, dei coglioni, degli arruffa popolo e sopratutto degli speedy gonzalez della tastiera che già sapevano tutto e avevano la tesi preconfezionata.  Così veloci a individuare nemici a proprio comodo. Specie se di pelle colorata. Peccato che la storia sia stata scritta  (a coltellate) in altro modo.

Dai, l’untore giusto (per voi) lo troviamo la prossima volta.

Gian-Giacomo-Mora

Un mondo popolato da coglioni

Purtroppo. Non passa giorno. Neanche uno. C’è in giro gente cattiva, arrogante, con la bava alla bocca. Che odia. A prescindere. Gente veracemente stupida. Senza compromessi. Gente di destra. Fessi. Montagne di fessi.

Si Carola non porta il reggiseno. Non c’ha le tette. A che serve? Ma è molto, molto, molto più intelligente e coraggiosa di tutti voi. Coglioni.

cadere in facili trappole

Assecondare la curiosità scimmiesca che si annida nei social network è troppo facile. Il meccanismo è un mix di egocentrismo, vanità, desiderio di apparire e demenza. Siamo scemi e infantili. Inutile nasconderlo. Adesso va per la maggiore l’ app che consente di ritoccare i volti (ringiovanendo, ma prevalentemente invecchiando). Dietro c’è una sottile operazione messa in campo dai russi per appropriarsi di immagini, testare sistemi per il riconoscimento dei volti e, più in generale, spiare nelle vite di noi tutti. E noi beatamente ci consegnamo a tali meccanismi, senza alcuna difficoltà.

Pure io (ma con ironia).

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il birrario di Preston

Andrea Camilleri ci ha lasciato. Con fatica e dolore. Prima o poi doveva succedere. Il grande vecchio proveniva dal caos (o meglio Cháos) e forse lì è tornato. Io l’ho conosciuto letterariamente grazie al libro “Il birraio di Preston” che mi fece scoprire almeno due cose:

a) che a Palermo esiste una casa editrice, la Sellerio, che pubblica libri con una bella copertina blu;

b) che la lingua italiana e i suoi dialetti, e in particolare quello siciliano, sono un pozzo di immaginifica bellezza.

Camilleri è una parte consistente della Sicilia, del romanzo giallo, dell’invenzione narrativa. Mente prolifica, attento osservatore di usi e costumi. Un grande uomo di cultura. Lo saluto con rispetto  e con il cappello stretto in mano, come si usava un tempo, citando un breve passaggio del libro richiamato:

“Nell’accingermi alla descrizione degli avvenimenti, invero dolorosi, che tanto danno e sommovimento hanno arrecato alla cittadina di Vigàta che fa corpo alla provincia di Montelusa, provincia in cui indegnamente io vesto la divisa di rappresentante
prefettizio dello Stato, mi corre l’obbligo di rammemorare alla Signoria Vostra Illustrissima quale sempre sia stato il mio sentir e in ordine ai problemi che affliggono la Sicilia”.
Chissà che Vigata non esista, davvero, da qualche parte.

Salmo (responsoriale)

Ieri sono andato a vedere il concerto di Salmo a Rock in Roma (alle Capannelle) con un duplice intento: salvaguardare mia figlia adolescente e effettuare uno studio sociologico sul divario tra un uomo di mezza età (cioè io) e la gioventù (cioè il resto del mondo).

Premesso di non aver ascoltato alcun disco dell’artista in tutta la mia vita , sono giunto nell’area sotto il palco senza alcun pregiudizio, ma soprattutto con orecchie vergini.

Ho guidato la marmocchia in mezzo alla folla e mi son detto: vediamo.

Il concerto è andato via liscio per un bel pezzo, con buoni ritmi (sia pure non proprio innovativi) e testi discreti. Salmo ha condotto lo spettacolo muovendosi in sedia a rotelle e cantando a ritmo serrato. Senza sforzo apparente (e secondo me divertendosi pure).

La seconda parte del concerto è stata meno interessante con la partecipazione di una manciata di ospiti dalle scarse qualità canore e anche un po’ noiosi. Fine della critica musicale.

Esiti dello studio sociologico. Effluvi di canne, ragazzetti giovani ma educati (passavano in mezzo alla folla chiedendo permesso) . La gioventù cantava a memoria testi pesanti. A dimostrazione che non è utile studiare poesie, ma è meglio far divertire il prossimo con il rap ( o qualunque cosa suoni Salmo).

Si in effetti qualcuno mi ha guardato storto mentre pogavo e tutto sommato non ho potuto unirmi ai cori poiché non conoscevo nessun testo , ma ho apprezzato la liberazione catartica del “machete era gay, gay, gay, gay ” urlato a squarciagola da tutti i presenti.

Non ho ravvisato alcuna novità rispetto a quando ero giovane io: si andava (e si va) ai concerti per stare bene e divertirsi.

Mia figlia sapeva tutti i testi e li ha cantati senza sbagliare una strofa. Dove li avrà appresi? Ah si , esistono YouTube e spotify.

Si comunque sono un uomo di mezza età. Inutile far finta.