strange days (il mondo attraverso un paio di occhiali)

Sergey Brin, in questi giorni, ha presentato i “Google glass“. Avveniristici, fantastici, potenzialmente creativi. Un pò come le riprese “extended point of view (POV)” che Kateryn  Bigelow utilizzò, nell’ormai lontano 1995, nel film “Strange days”. Lenny Nero, il protagonista,  “vive spacciando wire-trip clips, dischetti sui quali vengono registrate esperienze altrui, che includono tutti i loro input sensoriali, come vista, udito, tatto ed olfatto, e che, tramite un lettore, possono essere rivissute da chiunque”.

Stiamo allargando la nostra mente o siamo sul baratro dell’autoisolamento tecnologico?

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Cosa spinge un uomo di 45 anni suonati ad andare a vedere, all’Auditorium Parco della Musica, in Roma, il concerto del gruppo denominato “Baustelle”? Forse il desiderio di:

  • vedere una moltitudine di gggiovani (che abitualmente, sbevazzano, ruttano e bestemmiano) stare seduti composti per due ore?
  • vedere cambiare tre volte tipo di chitarra in meno di due canzoni?
  • sentire testi “pesanti” scanditi con dizione DeAndreiana?
  • riflettere sull’estinzione della razza umana (prima o poi ci tocca a tutti)?
  • lambiccarsi sul cupio dissolvi (vedi punto precedente)?
  • capire se “Charlie fa surf” tiene anche in versione operistica (tiene, tiene, eccome se tiene)?

Tutte queste cose insieme, ed anche di più.

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velocità (a road to nowhere)

Avendo due figli piccoli, vivendo nell’occidente pingue, possedendo un televisore ultrapiatto (del principale concorrente della Apple) che campeggia in salotto, è gioco forza passare per la fase cartoni animati. Va per la maggiore, ormai da tempo, la saga di “Cars”. Le macchinine con le faccine che parlano e vivono. E soprattutto corrono. Nel primo episodio del cartone, Saetta McQueen, nel buio del suo tir, in attesa di partecipare alla gara che potrebbe laurearlo campione della “Piston cup”, fa esercizi di concentrazione e pronuncia la frase: “velocità, io sono pura velocità“. Intanto, fuori sfrecciano le macchinine. Su un circuito tondo. Questa cosa del circuito tondo, tipico delle gare da corsa americane, mi ha fatto un pò riflettere. Correre su un anello per 350 giri deve essere una grandissima rottura di palle, ma, per alcuni, rappresenta il massimo della sportività e del divertimento. Correre finalizzato a sè stesso. La società moderna si basa su questo principio: macchine potenti, chilometri da percorrere, non importa se in tondo.

L’altro giorno, a piedi, sono passato lungo la Via Aurelia. Macchine che sfrecciano verso destinazioni, marciapiedi bruttini. E poi, nascosto tra cartelli pubblicitari e roba inutile, mi sono imbattuto in un bel cippo stradale.

Questo qui:

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Mi son fermato a guardare le macchine passare, velocissime, con i loro guidatori inconsapevoli, tesi come criceti sulla loro ruota.

E mi son detto che  così, al massimo della potenza dei cavalli e dei motori, l’umanità non sta andando da nessuna parte, pur illudendosi del contrario. Tutta colpa di Saetta Mc Queen.