Jersey boys

Frankie Valli, Bob Gaudio, Tommy De Vito e Nick Massi. Vi piacciono questi nomi? Vi ricordano qualcosa? Pensate di essere finiti in un gangster movie di broccolino?  Niente affatto. Siete gli spettatori del pop anni ’60 con coretti e schitarrate. Siete nel mondo dello spettacolo, dei lustrini e delle giacche con i risvolti di velluto.Ed uscirete dal cinema cantando Sherry baby a squarciagola, pur non avendo mai fatto parte di quell’epoca lì.

Clint sta bene e “scodella” un altro dei suoi film interessanti e mai banali.

la differenza

Siccome adesso ci sono i mondiali (che profluviano milioni di parole ed immagini) non si può non parlare del calcio. E’ impossibile. Anche se sei incompetente, se non capisci un’acca di strategia e tattica e siamo tutti dei Mister. Poi, figuriamoci nel 2014, con i social network ….

Quest’anno ci è andata bene. Ci hanno eliminato al primo turno. Ce l’aspettavamo. Ed, infatti, la Nazionale ha reagito in maniera composta e dignitosa.  Sono già tutti a casa, ritornati ai loro affetti, che sono la cosa più importante. Si, certo, qualche giornalista ha provato a fare un pò di colore, ma, insomma è poca cosa. Ciò che è evidente è che l’Italia non ha campioni, non ha giocatori eccellenti. Abbiamo gente che gioca al calcio ad un buon livello, profumatamente pagata, ma mi fermerei qui. Non c’è l’uomo “bandiera”. Si è data fiducia ad un “cretinetti”  che mio figlio di quattro anni è più maturo di lui.

Adesso ci si può riposare e godersi il calcio degli altri, più vitale e spensierato. Per vincere un mondiale, infatti, il segreto è avere il piacere di giocare a calcio.

Io, insomma, ripartirei da qui:

Sole sul tetto dei palazzi in costruzione,
sole che batte sul campo di pallone e terra
e polvere che tira vento e poi magari piove.
Nino cammina che sembra un uomo,
con le scarpette di gomma dura,
dodici anni e il cuore pieno di paura.
Ma Nino non aver paura a sbagliare un calcio di rigore,
non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore,
un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.
E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai di giocatori
che non hanno vinto mai
ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro
e adesso ridono dentro a un bar,
e sono innamorati da dieci anni
con una donna che non hanno amato mai.
Chissà quanti ne hai veduti, chissà quanti ne vedrai.
Nino capì fin dal primo momento,
l’allenatore sembrava contento
e allora mise il cuore dentro alle scarpe
e corse più veloce del vento.
Prese un pallone che sembrava stregato,
accanto al piede rimaneva incollato,
entrò nell’area, tirò senza guardare
ed il portiere lo fece passare.
Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore,
non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore,
un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.
Il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette,
questo altro anno giocherà con la maglia numero sette.

sai cosa penso?

“Sai cosa penso? Che questo aeroporto in fondo non è brutto, anzi, visto così dall’alto. Uno sale qua sopra e potrebbe anche pensare che la natura vince sempre, che è ancora più forte dell’uomo, e invece non è così. In fondo tutte le cose, anche le peggiori, una volta fatte poi si trovano una logica, una giustificazione per il solo fatto di esistere. Fanno ste case schifose con le finestre in alluminio, i muri di mattoni, i balconcini, la gente ci va ad abitare e ci mette le tendine, i gerani, la televisione… dopo un po’ tutto fa parte del paesaggio. Cioè esiste, nessuno si ricorda più di com’era prima. Non ci vuole niente a distruggere la bellezza.” Ho capito e allora? ” ” e allora invece della lotta politica, la coscienza di classe, tutte le manifestazioni e ste fesserie bisognerebbe ricordare alla gente cos’è la bellezza, aiutare a riconoscerla, a difenderla.”

pezzi

Dal film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana

il congresso (ma non è quello del PD)

Ieri sono andato a vedere, con l’amore mio, “Il congresso”. Senza aver letto nulla, senza saperne nulla. Il film in sè è una roba strana: parte come un film futurologo e diviene poi un cartone lisergico e un pò sconcluso. Un viaggio angoscioso in un futuro angoscioso (perchè il futuro è sempre dominato dal grande fratello e le rivoluzioni sono fuori e poi scoppiano dentro?). Insomma, buone intenzioni, ma un pò di pasticcetti.

Il film è molto liberamente ispirato ad un libro di Stanislaw Lem. Tutto ciò che è scritto qui di seguito nel film non lo troverete trasposto in maniera fedele, anzi …

Narratore sci-fi di culto, sovieticamente utopico, occidentalmente dispotico. Il polacco Stanislaw Lem è stato il creatore del Solaris di Tarkovskij, che è il manifesto di un anti-rinascimento, proiettato nel futuro e aderente ai modelli anti-utopici della letteratura socialista. E’ l’autore de  “Il congresso di futurologia”. Il racconto lungo, uscito nel 1971 (dieci anni dopo Solaris) e privo del carattere magniloquente che può sedurre il grande schermo (?), è la parodia di un futuro anteriore, governato dalla chimica farmaceutica. Ijon Tichy è un glorioso astronauta invitato a un congresso di futurologia in uno stato centroamericano (che l’autore chiama Costaricana e che molto ricorda il coevo Bananas alleniano). Un salone dell’astronautica in un mastodontico albergo lounge dove la rivoluzione che imperversa nelle strade non sembra troppo preoccupare gli invitati. Tichy viene prelevato dagli americani, ibernato e scongelato nel 2039. Si ritrova in un mondo in balia della farmacopea. Un mondo che cambia a seconda delle sofisticazioni lisergiche. E dove i defrizzoni, gli scongelati, sono i nuovi emarginati che cercano librerie e non le trovano, i giornali, anch’essi manipolati chimicamente, si volatilizzano nello spazio di ventiquattro ore: non è dunque la comunicazione e il suo futuribile prolasso a governare il mondo né tantomeno i robot, servi sciocchi (quelli da bagno, quelli lustrascarpe e i robots de voyage) che non possono fruire della chimicocrazia. Potere di farmaci e pillole, di psicochimici che alterano ogni funzione vitale.
È l’orizzonte lessicale che colpisce nel libro di Lem: la continua, esasperata ricerca neologica, questo collasso della parola che si trasforma, anch’essa alterata, e dunque funzionale allo sviluppo narrativo del testo. L’orizzonte utopico è quindi garantito da questa accelerazione mescalinica, mentre – distopicamente – Lem vaticina futuri possibili: parla, nel 1971, di un attentato al papa e di sceriffi dell’aria, prevede e anticipa le connessioni virtuali e l’apprensione per il grande fratello.

pieni di luce

La vita è accumulazione di attimi, vissuti da prospettive diverse. Sguardi, bigliettini, oggetti, suoni, foto. Specie queste ultime sono un utile ausilio per non annegare nel “tutto scorre”. Anche se sono la cristallizzazione precaria di qualcosa che è stato e non tornerà più. Il ricordo visivo, replicabile all’infinito, potrebbe non sbiadire mai se ben conservato. E se ogni tanto saltano fuori vecchi dagherrotipi di persone che non sono più, ma che ci guardano con i loro occhi passati, vestiti con abiti di epoche defunte, chissà che un domani i nostri scatti non entrino a far parte di musei o collezioni private. O studiate nei libri di scuola.

Le mie foto, che ogni tanto riguardo, hanno qualcosa di bello: sono piene di luce. E quel riverbero è nella mia vita.

l’Italia è un bosco

“L’Italia è un bosco” è un libro di Tiziano Fratus (editori Laterza).  E’ un libro su ed intorno agli alberi. E’ ricco, come solo i boschi sanno essere, ed è un tripudio di citazioni letterarie. E’ anche (e sopratutto) un viaggio (fatto di mille deviazioni, tappe e detour).

Consiglio di leggerlo. Ma, soprattutto, consiglio di andarli a cercare quegli alberi. Ritagliatevi del tempo per questa ricerca. Lì è la vera libertà.

van gogh ulivi